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Momenti dell’anno

Proseguendo sulla scia delle memorie, ci sono stati alcuni momenti che mi sono rimasti impressi. Magari niente di epico, decisivo o indimenticabile; però mi hanno colpito, e tanto basta perché ancora li ricordo senza sforzo.

1)  Ricordo piuttosto nitidamente i mondiali di Daegu, perché l’atletica mi piace molto guardarla ma ci si riduce sempre ai grandi avvenimenti, in quanto mica si riesce a presenziare a tutti i meeting estivi e per il resto gran parte della stagione passa sottotraccia. E di quei mondiali ricordo la figura da pollo allo spiedo di Bolt che viene squalificato nella finale dei 100. Uno così sicuro di vincere che fa il gigione fino a tre secondi prima e poi si frega da solo come l’ultimo dei tonti. Bel pirla. Fortuna che si redime pochi giorni dopo incidendo negli annali il record in staffetta.

2)  Nuova Zelanda campione, questo non lo dimenticherò facilmente perché son riuscito a seguire tutta la manifestazione, data la sua scadenza settimanale. Quando nel rugby sono coinvolte le nazionali il mio interesse cresce vertiginosamente, forse sarà il valore ipnotico delle divise. Ma nella memoria ho impressa molto bene anche la storica giornata per l’Italia, che il 12 marzo nel 6 nazioni sconfigge per la prima volta nella storia la Francia al Flaminio. 22-21, punteggio thriller ovviamente ancora più bello per un’occasione del genere. Passo dopo passo è ora che questo sport cominci a prendere piede non perché di moda, ma in quanto vincente. Una disciplina riesce ad emergere e darsi continuità nel tempo solo se espande la sua base. Un problema che a causa del calcio tutti gli altri sport dovrebbero porsi.

3)  Lo scontro Barça-Real e soprattutto le vittorie dei catalani. Sarà che il potere centrale non l’ho mai visto di buon occhio, ma i castigliani sin da piccolo non riesco a trovarli simpatici, in qualsiasi sport. Presentando quasi stabilmente squadre forti normale diventino degni antagonisti. I madrileni hanno anche preso il guru degli ultimi anni, quel portoghese che manipola la mente degli stolti con grande abilità, come una fattucchiera. Eppure anche lui ha dovuto subire cocenti umiliazioni. Del Barcellona mi piace sempre sottolineare la tecnica: quanti gol segnano perché a differenza di tanti altri presunti campioni questi non sbagliano gli stop o l’ultimo passaggio? Sono dettagli, quelli appunto che scavano la differenza tra vincere e perdere.

4)  L’Olanda è campione mondiale di baseball sconfiggendo Cuba. Okay, non se lo fila nessuno. Interesserebbe di più se dicessi che Dan Peterson ci mette la faccia e torna ad allenare Milano per un breve periodo. Ma se le fondamenta societarie sono bersagliere e deficitarie nemmeno The Coach può qualcosa. E invece la notizia mi aveva interessato. La prima nazione europea a raggiungere un traguardo simile in uno sport tutto stelle e strisce, caraibico e dell’estremo oriente. Grandissimo risultato. E noi inteso come Italia che nell’europeo di uno o due anni prima li avevamo pure battuti, gli arancioni. Nello sport sicuramente un episodio da segnalare.

5)  Siamo a luglio. Nella 18esima tappa del Tour de France Andy Schleck si rende conto che se vuole provare a vincere la Grand Bouclé per la prima volta deve tirar fuori il coraggio e provare un’azione pesante. Ne nasce un’azione ormai dimenticata, da lontano, come ormai non se ne vedevano più nel ciclismo moderno dove calcoli e tattica hanno ammazzato la fantasia. Invece Andy tiene grazie ad un paio di compagni di squadra e poi parte per l’ultima salita, solo. Non guadagnerà tantissimo ed infatti il meraviglioso attacco non basterà ad incoronarlo vincitore, ma almeno ai miei occhi dimostra di avere ancora l’animo del corridore d’una volta, quello che infiammava i cuori della gente per questa disciplina.

6)  In gara 7 di Stanley Cup Boston batte Vancouver ed nella città sul Pacifico scoppia il finimondo. Nella brutta accezione del termine. Una rivolta urbana mascherata da delusione sportiva, in cui c’è spazio per trovare la foto ad effetto dei due ominidi che si rotolavano sulla strada scambiandosi  effusioni mentre intorno infuriava il caos. Anche se da una componente della società canadese potevo aspettarmi un comportamento simile, apprenderlo mi aveva sorpreso. Un vero peccato perché una splendida serie finale avrebbe meritato ben altra chiusura. Parteggiavo anche io per i Canucks, sempre quando c’è una canadese, ma Boston ha semplicemente meritato di vincere giocando delle grandi partite mentre gli avversari purtroppo si sgonfiavano. Ma ‘sto coppa ci torna nella terra degli aceri o no?

7)  Veniamo al mio basket. Il momento che ricordo più nitidamente è Nowitzki che segna il canestro della staffa in gara 6 e si mette le mani nei capelli assieme a Chandler, entrambi increduli di quello che hanno appena fatto, rendere Dallas campione. Del tedesco ho già parlato ma i Mavericks meritano di essere citati nuovamente. Una squadra di vecchiacci, di gente che non mollava continuando a sperare; soprattutto un gruppo cui nessuno dava due soldi, me compreso. Troppi i fallimenti passati, troppe le attese disilluse quando erano veramente forti. Ed invece, scherzi della maturità, il titolo è arrivato come nelle fiabe, alla fine della storia, dopo aver superato mille avversità e sconfitto l’orco come ultimo. Bello anche così.

8)  Strano, ma un’altra immagine che mi si stampa in mente è il canestro di Ilievski che elimina la Lituania consentendo alla Macedonia di avanzare in semifinale. Quello sì, un vero momento di sport che potrebbe capeggiare il volumetto dedicato all’impresa macedone agli Europei, chiusi al quarto posto. Per l’ennesima volta, McCalebb ci azzecca come le banane con i lessi, ma indubbiamente non c’è stato solo lui nella miscela che ha portato questa nazionale così lontano. La dimostrazione che non c’è spazio solo per le corazzate, anche se questo discorso delle naturalizzazioni farsa sta mandando a ramengo il significato delle competizioni tra stati.

9)  Ancora, mi sovviene la terribile piallata che prese Siena in gara 1 dei playoffs di Eurolega contro l’Olympiakos. 47-9 all’intervallo, tabellino ignobile e al contempo incredibile, figlio di una partita maledetta, che capita una volta ogni 15 anni per l’avverarsi di tutte le congiunzioni negative possibili. Tanto che Siena, da grande gruppo quale dimostrò di essere, seppe riprendersi alla grande e soffiando sulla rabbia che provocò quell’umiliazione vinse le tre partite successive qualificandosi per le Final Four. In cui poi puntualmente non riuscì ad imporsi, ma questa è un’altra storia.

10)  Purtroppo è anche un anno di scomparse. Quella di Weylandt al Giro d’Italia, di Simoncelli o del maratoneta keniano Wanjiru. Per non parlare dell’intera squadra del Lokomotiv Yaroslavl. Preferisco pensare a due ritiri, in primis quello di Shaq, la leggenda vivente, montagna di comicità. E anche se passato molto più in sordina quello di Adam Malysz, polacco del salto con gli sci, che conclude una carriera fantastica ed è stato uno dei nomi che mi ha avvicinato alla disciplina. Lui col suo baffetto e gli occhi tristi.

 
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Pubblicato da su 31 dicembre 2011 in Uncategorized

 

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Nomi & Squadre dell’anno

Un anno passa così rapidamente da perdere la nozione degli avvenimenti. Nel ricordare gli episodi che han contraddistinto l’annata 2011 quindi è normale fare cilecca. Qualcuno me lo lascerò alle spalle, lo dimenticherò. Salvo riaffiorarmi alla memoria tra un paio di giorni. Sono stati dodici mesi emozionanti? Domanda superflua, volendo cercare nelle pieghe emozioni si trovano sempre. Per cosa ricorderò questa annata? Qualche ragione sparsa qua e là ci sarebbe. Nutrendomi di memoria visiva e non temporale, non percorrerò una linea cronologica. Sicuramente è stato l’anno di Djokovic e della sua esplosione definitiva, un’esplosione che per lunghi tratti ha ricordato il cannibalismo del belga Merckx. Non sono un appassionato di tennis, lo seguo ogni tanto, ma ricordo nitidamente Wimbledon, l’unico slam che riesco a vedere perché il verde mi tranquillizza permettendomi di sopportare lunghi tratti di partita. Fu una grande affermazione, soprattutto perché ad essere schiantato fu Nadal, la macchina fatta uomo, colui che aveva scalzato Re Roger dal trono e poteva legittimamente rivendicarne lo scettro. Il serbo invece lo stronca con una grande prova di forza fisica, mentale, tecnica e si aggiudica il secondo slam dell’anno dopo quello australiano. Triplicherà a New York. Onestamente se devo pensare ad una figura sportiva per quest’anno, citerei il suo nome. Ha stabilito un sacco di record: 43 partite vinte consecutivamente, diventa il numero uno del ranking, batte Nadal sul rosso dopo che per un’eternità nessuno c’era riuscito, e non ultimo guadagna come mai aveva fatto prima. C’è da ritenersi soddisfatti. Dell’universo femminile ricordo poco, tante belle figurine urlanti ma una certa piattezza di personaggi ed un livellamento del gioco verso il basso: si distingue solo la ceca Kvitova, atleta dalla pancetta e dagli occhioni azzurri che sprigiona potenza e potenziale. In questa pochezza di avversarie se dimostrerà di avere testa potrebbe raccogliere diverse soddisfazioni. Personalmente poi lo ricorderò come l’anno di Nowitzki, che dopo un estenuante inseguimento arriva al traguardo tanto desiderato, il titolo Nba. Sono stato molto contento per lui, un giocatore esemplare non solo sul campo ma anche negli atteggiamenti mostrati fuori. Sobrio, umile, lavoratore indefesso pur di raggiungere il proprio sogno: e chi ha un sogno difficilmente si monterà la testa prima di raggiungerlo. Dirk se l’è meritato, rimanendo con cocciutaggine nella stessa squadra, provando l’arrembaggio ogni anno dopo un’estate passata ad aumentare il bagaglio delle armi a disposizione aggiungendo un movimento, perfezionando un gesto; e servendo la nazionale. L’esatto contrario di James, uno degli sconfitti con la S maiuscola dell’anno, che fino ad ora ha dimostrato di avere solo la boria e l’arroganza pari alla bravura. Ovviamente anche con lui il tempo è benevolo e saprà donare più di un’occasione, non tanto perché se la meriti ma in quanto inevitabile. Non è stato nemmeno l’anno di Bolt ma mica si può pretendere che infranga record a bizzeffe ad ogni competizione. In previsione di Londra questo è stata una stagione dove verosimilmente propendeva a mantenere un basso profilo, ostacolato anche da qualche infortunio che ne ha rallentato la preparazione. Anche se poi spulciando tra i ricordi, mi sovviene che a Daegu assieme ai suoi compagni di staffetta nei 100 metri un record mondiale lo avrebbe comunque stabilito. Questi giamaicani bisognerebbe studiarli. Tuttavia nel ramo dell’atletica mi sono rimaste molto più impresse le prestazioni di un’australiana, Sally Pearson, che ha disputato una stagione fantastica. Ostacolista bianca tecnica e potente, oltre che velocissima. Grande la sua supremazia nella specialità e anche la finale coreana, dove ha stabilito record dei campionati e continentale. Per quello mondiale, stabilito addirittura 23 anni fa dalla bulgara Donkova, distiamo solo 7 centesimi. Nell’hockey è mancato Sidney Crosby, il messia di questo sport; doveva essere la volta buona di una squadra canadese ed invece è andata male. Mi piace ricordare Marchand, ragazzo dei Boston Bruins protagonista di una grande finale, a dimostrazione che in un qualsiasi sport le qualità fisiche contano, innegabile, ma ci sono e sempre ci saranno delle eccezioni che si fanno strada con cuore e classe arrivando ad essere decisivi. Il ciclismo non ha avuto un vero padrone, anche se forse il belga Gilbert ha zittito tutti nelle classiche invernali con la suo colpo di pedale cristallino, combattendo con tenacia anche al Tour. Giro di Francia che invece per me ha simboleggiato la morte della fantasia e la sconfitta del coraggio. Che però, ottima notizia, sembrano permanere. Nel rugby si fa tutto nero perché tutto è oscurato da loro, gli All Blacks, che in una finale sofferta in modo atroce tornano campioni del mondo dopo il lontano 1987. La palma di squadra dell’anno probabilmente la assegnerei a loro, con una sola rivale. Infatti a livello calcistico penso non si scappi dal Barcellona, com’è logico che sia. Sono anni di monarchia assolutistica catalana e ritengo sia giusto goderseli. Della tecnica di Messi, Xavi, Iniesta e fratelli ce ne ricorderemo anche tra vent’anni. Nel basket europeo è stato l’anno di Obradovic. Ancora una volta. L’ennesima. Otto titoli di Eurolega, gli ultimi cinque col Panathinaikos. Un vero drago, lodarlo è ormai superfluo. Giusto citare assieme a lui il suo braccio armato, quel Diamantidis che senza forse è il miglior giocatore europeo che nel vecchio continente ci gioca anche, e che purtroppo non abbiamo potuto ammirare agli Europei, quelli del dominio spagnolo. È stato anche l’anno del lock-out Nba, che però col senno di poi non ha prodotto sostanziali cambiamenti. Molti di più a livello sentimentale me ne hanno procurati le notizie del ritiro di Yao Ming e Brandon Roy. Erano nell’aria, ma dispiace comunque molto per due giocatori e persone che ho sempre ammirato, forse perché lontani anni luce dai comportamenti imperanti. E come spesso capita nella vita, sono sempre i buoni i primi a lasciare.

 
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Pubblicato da su 30 dicembre 2011 in Uncategorized

 

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