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Nba Finals

Finalmente. Dopo aver sudato un’intera stagione, aver visto la patuglia delle pretendenti assottigliarsi giorno dopo girono, partita dopo partita, é arrivato il momento. Ne restano solo due ed il duello promette bene. La finale di quest’anno ci consegna due protagoniste insolite i cui destini il fato ha pensato bene di intrecciare in una matassa a doppio filo. Si tratta di storia recente, entrambe sono alla seconda apparizione in finale ed ovviamente tutti ci ricordiamo ancora la prima, anno 2006 primo titolo per gli Heat e sanguinosa sconfitta a dir poco per Dallas che la serie l’aveva in mano e probabilmente era anche la squadra più forte. In Texas quella sconfitta non l’hanno mai digerita ma quest’anno pare l’abbiano metabolizzata usandola come benzina per arrivare nuovamente al capitolo decisivo, trovandosi nuovamente di fronte alla squadra della discordia. Il loro sembra anche tanto suonare come ultimo ballo, e verosimilmente per questa squadra questa potrebbe davvero essere l’ultima chiamata per salire sul treno degli anellizzati. Questa stagione suona tanto come terra di mezzo in vista di come la lega uscirà rinnovata dal lockout, comunque sia pronta per una nuova saga. Tanti vecchi leoni a suonare l’ultima carica e destinati a lasciar spazio alla batteria di giovani felini affamati che già quest’anno ha messo pressione. Da parte mia nessun dubbio che nel prossimo decennio l’Nba cambierà livrea, in peggio probabilmente dal punto di vista qualitativo ma comunque cambierà.

Della finale che inizia stanotte che dire, una vera favorita non c’é anche se tutti gli occhi e le aspettative sono puntate su Miami ed il suo trio, logico aspettarselo: negli States siccome alla maggioranza questi signori non sono esattamente simpatici stanno pensando di abiurare al sconfinato patriottismo mettendosi nelle mani del tedesco da Wurzburg, scelta nemmeno tanto malvagia. Anche io non impazzisco per gli Heat, anzi, ma attraverso percorsi opposti entrambe han meritato di trovarsi qui. Miami non mi piace e vi spiego perché: non mi piace il modo di atteggiarsi delle sue star, più saltimbanchi che giocatori, non mi piace il modo in cui la squadra é stata creata, ovvero dai giocatori e non dal management, non mi piace come non gioca, perché il basket nella mia visione romantica dovrebbe essere un gioco di squadra sviluppato armonicamente, mentre qui assistiamo si ad una buona difesa ma anche ad assoli peripatetici in attacco, assoli che pero’ essendo eseguiti dai migliori solisti tendono a convertirsi in punti e vittorie. Concetto di basket per me obbrobrioso, ma anche dannatamente concreto. Già, perché contro questi Heat si possono dire tante cose e trovare tanti argomenti, ma a conti fatti la loro strategia paga, ed al primo anno assieme son li a giocarsi la finale. Questo potrebbe aprire il capitolo sulla deriva del basket statunitense ma non mi sembra il caso. I fatti dicono che Miami ha saputo battere sia Boston che Chicago, proprio contro i Bulls son stati bravi anche giocando peggio per lunghi tratti durante le partite nella wind city a rimanere sempre a distanza di zanna, colpendo poi nelle fasi cruciali dove freddezza e talento li hanno promossi. Questa é comunque una squadra che sin dal primo giorno di vita si é trovata un macigno di pressione addosso tanto che Damocle a confronto viaggiava in prima classe. Sono gli stessi giocatori che hanno iniziato la stagione zoppicando, annaspando, infilando poi filotti di vittorie ma perdendo quasi sempre le sfide con le pretendenti al titolo. James é quello che ha sbagliato tiri decisivi a raffica, Bosh il reietto che a metà stagione sarebbe stato meglio sacrificare per rendere la squadra più equilibrata dotandola di un centro ed un play di livello, Wade il closer che pero’ lasciava l’incombenza a quello grosso. Parole che confermano come la stagione regolare fornisca indizi, non sentenze, e soprattutto mette a nudo l’incompetenza di chi giudica e pontifica dopo un tiro, una partita, un mese. Alla triade della Florida va dato tempo, non tanto per cementare il gioco di squadra, quello delle menti intelligenti lo possono fare anche in poche sedute, quanto piuttosto per smussare il loro ego ed incastrarlo in modo vincente, processo che pare su una buona strada. Dovessero vincere già da quest’anno, io sono scettico sul fatto che nelle stagioni successive vedremmo aumentare esponenzialmente la qualità del gioco espressa: il canovaccio sarebbe bene o male lo stesso anche perché ripeto mi duole dirlo ma porta i suoi frutti ed è in primis congeniale alle sue star che vedrei più restie a calarsi in un vero sistema.

Sull’altra sponda aspetta Dallas, l’underdog stagionale anche se nel pazzo West di sparatorie ce ne sono state tante e le vittime illustri due, Spurs e Lakers. Io stesso nutrivo dubbi sulla loro tenuta mentale, la capacità di restare continui in una singola gara ancor prima che nel corso della serie, anche perché in fondo la squadra era la stessa delle ultime deludenti stagioni: ottima regoular season seguita da precoce eliminazione. Lecito dunque non attendersi sostanziali novità: ovviamente sono stato smentito. I Mavericks hanno mostrato ottima solidità da veterani navigati, non sono mai andati nel panico riuscendo a gestire al meglio molto situazioni complicate. Han chiuso la serie con Portland dopo essersi fatti rimontare un vantaggio di 20 punti da un ispirato Roy in gara 4, episodio che gli anni passato avrebbe aperto crepe. Sono rientrati da svantaggi in doppia cifra agguantando partite nei minuti finali e vincendole: é successo coi Lakers in gara 1 e contro i Thunder nell’incredibile gara 4, quella del super Nowitzki. Ma non era mica gara 1? Pardon, il tedesco ha concesso il bis. Dirk sta giocando dei playoffs pazzeschi, sempre sotto controllo, sempre calmo anche dopo le vittorie, perché lui sa. Sa anche che tornare in finale non significherà nulla se poi non la vinci, e mi sembra che non sia l’unico ad esserne conscio: in squadra ci sono tanti giocatori già scottati da tante delusioni in passato, Kidd su tutti ma anche Marion, Peja, Terry. Per questo nonostante abbiano mostrato il basket più bello nei playoffs finora (assieme a Memphis aggiungerei) sanno che lo scoglio più difficile si presenta ora. Tutto ruota intorno a Nowitzki logicamente, che fagocita il gioco raramente ed é molto migliorato nel leggere le situazioni in campo: delle sue meravigliose prestazioni mi fa più piacere ricordare gli assist ed i ribaltamenti di gioco piuttosto che i soliti inspiegabili canestri. Attorno a lui agisce una batteria di tiratori ed un centro intimidatore ma molto mobile, che anze senza veri movimenti in attacco ti obbliga ad onorare la sua presenza in zona ferro. Kidd é un play che nonosante alcune sue croniche letture enigmatiche muove il pallone con grande sagacia, suoi tanto hockey pass, e nonstante la tecnica nel tiro si é rivelato più che affidabile. La panchina inoltre offre preziose risorse, da Terry of course a Stojakovic e Barea: molto bene il portoricano, con pochi fronzoli e tanta voglia di attaccare dal pick’n’roll dal quale genere spessissimo situazioni vantaggiose.

In finale il fattore campo dice Miami, che in casa ancora non conosce sconfitta ma si trova una squadra che invece ha vinto le ultime 5 in trasferta e lasciando stare i numeri ha dimostrato pochi disagi a giocarsela ovunque. Gli accoppiamenti conteranno cosi come gli eventuali aggiustamenti, anche se la garra, le motivazioni come al solito avranno il loro bel peso a questo punto: chi ne saprà gettare di più sul campo acquisirà un fondamentale vantaggio. Probabile vedremo Stevenson su Wade e Marion su LeBron, mentre dall’altra parte il tedesco sarà preso in consegna da Bosh presumo e Haslem. I Thunder in gara 1 han provato tutti i difensori possibili senza risultati, anche se nella serie Collison si puo’ dire abbia fatto un eccellente lavoro di contenimento. Bosh allo stesso modo puo’ dargli noie anche perché se la marcatura verrà replicata lo terrà impegnato in difesa. Sarà interessante vedere l’impatto tra le due squadre perché sostanzialmente han giocato basket agli antipodi per ora, causa anche le conference di appartenenza. Dna davvero diversi, idea mia quanto tempo riuscirà a stare in campo Chandler e l’apporto di Barea e Marion saranno risposte importanti per capire come si orienterà la serie, che nonostante la mia avversione verso gli Heat li vede comunque coi favori del personalissimo pronostico. Per entrambe sarà l’avversario più solido incontrato finora.

 
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Pubblicato da su 31 Maggio 2011 in NBA

 

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Nba: Finali di Conference

Come nei pronostici per l’Eurolega, previsioni azzeccate al 50%, due su quattro prendendoci pure nel punteggio. Come primo tentativo soddisfacente, potranno anche arrivare sberleffi ma certo non mi coprirò di ridicolo. Oltretutto alzi la mano chi si aspettava un passaggio del turno di Dallas. Allo sweep non accenno nemmeno perché avrebbe potuto pronosticarlo solo mio nonno che sa a malapena che Dallas è stato un telefilm di grido degli anni ’80 e la parola Lakers potrebbe scambiarla per la marca di un formaggio. La serie sulla costa opposta invece avrebbe potuto essere più facilmente identificabile, ma gettando la maschera era un pronostico che veniva dal cuore e come tale si è rivelato fallace. Ma non è il momento per svilupparne le ragioni. Anche il secondo turno è stato godibile, grazie soprattutto e ovviamente all’Ovest che ha riservato sorprese come neanche a Pasqua. Scontata l’associazione al profetico titolo dei Cohen, non è un campionato per vecchi quello in cui i vegliardi di Celtics e Lakers vengono spediti in soffitta senza tanti complimenti, anche se in modo sensibilmente differente. Resistono ancora i Mavericks che quatti quatti provano a riguadagnarsi la possibilità di dare l’assalto al titolo sfuggito durante l’edizione maledetta del 2006. Sarebbe il finale di un mondo in cui il karma esiste davvero quello in cui gente come Nowitzki e Kidd riuscisse finalmente ad infilarsi un anello al dito, ma proprio per questo meglio mantenersi realisti. Ad est il gran ballo è già iniziato, Chicago ha fatto sua la prima puntata del giallo ma anche qui mi sento di scommettere che sarà un racconto lungo, con diversi protagonisti pronti ad attrarre le luci del palcoscenico. È una serie che tanti già pronosticavano e tutti vogliono vedere, data la presenza di stelle mediatiche ancor prima che sportive. Certo Rose schivo com’è scommetto pagherebbe di tasca sua per non concedersi al rito interviste, ma essendo l’MVP qualcosa dovrai pur concedere. Sull’altra sponda i due bolidi di Miami, con tutti i meriti espressi sul campo finora, mi sono sembrati un po’ troppo saltimbanchi una volta spente le luci sul parquet, considerato che sono passati solamente due turni e le cose incominciano ora a farsi serie. Ma sarà perché sono sotto una costante pressione, specie il nativo di Akron che una scimmia dalle dimensioni gorillesche sulla spalla, o più semplicemente perché non hanno mai fatto breccia nell’immaginario dello scrivano e nel suo modo di intendere la pallacanestro. Detto ciò la serie più interessante si profila ad ovest, con due generazioni a confronto ed una sfida insolita che presenta diverse incognite. Quel che mi chiedo io è come entrambe proveranno a disinnescare le armi altrui. Cominciando dai texani, chi si prende cura di Durant, Marion? O forse Stevenson? Comunque sia, saranno dei bei grattacapi, perché c’è pure la gatta Westbrook che presenta problemi di velocità ed atletismo a cui non son certo Kidd possa essere la risposta. Visto il buon lavoro di Giasone su Kobe, si potrebbe provare lui sul capocannoniere, ma son tutte ipotesi. A dei giornalisti che insinuavano come lui 38enne potrebbe subire l’atletismo del rivale di sole 22 primavere il saggio Kidd ha risposto “potrebbe essere vero, ma lo è ancora di più che siete gelosi che a questa età io sia ancora qui a giocare”. Touché. Nell’avvincente serie contro Memphis, inutile sottolinearlo ovazione per la banda di coach Hollins, è emerso con prepotenza l’inestimabile valore di Harden, per chi ancora non lo avesse notato. Il ragazzo è pronto per decollare verso l’olimpo dei giocatori Nba affiancando i suoi due compari. Dovessero continuare con i progressi già evidenziati rispetto alla stagione scorsa, questi non sarebbero più solamente da corsa, diverrebbero quelli da battere. I Thunder sono davvero giovani e promettenti, forse nemmeno loro credevano di trovarsi con una simile occasione già da quest’anno, ora sarà soprattutto una questione mentale, quando le aspettative cresceranno si vedrà chi è in grado di continuare a scalare i gradini e non parlo solamente dell’immediato futuro. Certo per loro arriva l’enigma Nowitzki: sul tedesco è probabile vedremo una staffetta tra Collison e Ibaka, forse qualcosina di Mohammed ma i piedi non mi sembrano adattissimi. Certo Dirk non è Z-Bo, ha uno stile diverso con cui si dovrà fare i conti: l’unica cosa che sembra avere in comune con l’ala dei Grizzlies è lo stato di forma, celestiale. Vedremo dopo nove giorni di pausa se avrà le polveri bagnate, aver sbaragliato LA ha avuto come controindicazione lo stare fermi veramente a lungo, il che durante i playoffs non è mai consigliabilissimo, nemmeno per una banda di trentenni. Normale che l’uomo di Würzburg sia il pericolo pubblico numero uno come lo era ai tempi Jacques Mesrine, ma non è l’unica freccia sull’arco dei Mavs. Finora nei playoffs han ben figurato gli uomini della panca, da cui coach Carlisle può pescare in abbondanza: continui il Jet Terry e il portoricano Barea, a sprazzi Stojakovic e Brewer ma che sprazzi quando si tratta del serbo, che in giornata sì al tiro sposta decisamente gli equilibri. Il sistema di pick’n’roll giocato molto alto ha messo in crisi i Lakers cui venivano scombussolate le distanze in difesa, i Thunder han sempre dimostrato di voler chiudere l’area ma potevano permetterselo contro Memphis che da oltre l’arco ci azzeccava poco: qui le cose cambiano radicalmente, vedremo quali saranno i nuovi assetti scelti dagli allenatori. Inoltre anche Chandler sta rispondendo molto bene, incappando raramente in problemi di falli. Una volta di più la battaglia sotto le plance sarà interessante, tenendo conto che Oklahoma non presenta nessun satanasso in pivot basso. Una serie davvero piacevole cui assistere, stavolta senza pronostici anche se dovessi puntare il dollaruccio educato arrischierei su Dallas. Controllo dei tabelloni fondamentale anche sulla costa opposta: in stagione regolare ha sempre prevalso Chicago, stessa solfa in gara 1 dove tutti i lunghi dei Bulls han ben figurato, specie Asik e Gibson dal pino, e si è visto come è terminata. Thibodeau avrà sicuramente preparato la serie per cercare di limitare il massimo possibile le superstar avversarie, ben sapendo che non potrà annullarle ma solo contenerle obbligandole a optare per delle scelte che il coach dei Bulls spera possano pagare. Le due squadre hanno sistemi difensivi molto più collaudati rispetto a quelli offensivi, e questo vale in particolar modo per gli Heat, superfluo sottolinearlo, perché in realtà Chicago qualcosa lo lascia vedere e anche di buono. Sono ancora troppo Rose dipendenti? Affermativo, anche se è un bel dipendere, ma comunque il ragazzo è intelligente e ha dimostrato varie volte di non essere prima donna, ma di perseguire gli interessi della squadra. Vuole vincere, glielo si legge proprio nello sguardo che sembra inespressivo, o almeno pare a me di leggerlo, ed è disposto ad adattare il suo gioco pur di raggiungere questo scopo. Come si dice negli States, ha comprato il sistema di Thibodeau (tra parentesi se uno è un grande allenatore per la difesa sillogismo vorrà che conosca bene anche come far funzionare un attacco..), e se la tua star ci crede, tutta la squadra segue a ruota. Chicago forse non convincerà del tutto ma parere personale è ad una guardia più efficace di Bogans dal totalizzare il jackpot; qualunque sia la verità potrebbero sbancare tutto anche con il prodotto ex Kentucky, il che direbbe tutto della loro solidità. Miami arriva al suo primo vero scoglio, quello che per varie ragioni i Celtics non hanno saputo rappresentare. Anche qui la palla è sempre in mano a due persone, pur riconoscendone la forza questa squadra non mi piace neanche un po’ per come gioca e ancora di più per come è stata costruita. La mia convinzione in materia è granitica dunque se vinceranno, certo non impossibile, per me sarà come porre un macigno sulla tomba del basket inteso e giocato in modo più rispettoso verso il tanto decantato spirito del gioco. Che non li tifi credo si sia intuito. La sensazione odierna è che tranne per Dallas stiamo comunque parlando di squadre non ancora finite, che nonostante il potenziale in divenire ed ancora inespresso si trovano già a questo punto, pronte per giocarsi l’anello. Vedremo se davvero è tempo perché sorga una nuova alba.

 
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Pubblicato da su 17 Maggio 2011 in NBA

 

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Nba Playoffs – Analisi primo turno

Come, a ritroso nel tempo, prima l’analisi sulle semifinali di conference ed ora una retrospettiva su quel che è stato il primo turno? Ebbene sì, perché se è vero che col senno di poi son tutti bravi a riempirsi la bocca di bei discorsi, io le mie previsioni le ho fatte prendendoci in alcuni casi e toppando alla grande in altri, dunque torno su quelli che sono i stati i miei errori per vedere cosa ha funzionato diversamente. Serie per serie:

  • Chicago Bulls – Indiana Pacers 4-1: giù il cappello per Indiana e coach Vogel, che la serie l’ha allenata e ha dato una partita ai migliori dell’Est praticamente in ogni occasione, uscendone con una sola vittoria ma in realtà arrivando sulla linea del traguardo in almeno due partite. Ottime le prove di Hibbert, Granger, in singoli episodi bene anche Collison e Hansbrough che non hanno fornito continuità ma inizialmente han fatto il botto. Bravi loro e pure gli altri, che han saputo giocare come una squadra trovando contributo da tutti. Alla fine l’han spuntata i Bulls che in difesa han saputo asfissiarli nei minuti finali, suonando la carica sempre nell’ultimo quarto, giochino rischioso perché non è sempre detto che riesca, vedi gara 4 che i Pacers stavano per gettare dalla finestra con due minuti di isterismo collettivo. Rose non ha tirato benissimo però ha fatto quel che ci si aspettava, la differenza. MVP: Derrick Rose
  • Orlando Magic – Atlanta Hawks 2-4: avevo detto che avrebbe pesato il rendimento del turco; vero perché ha fatto schifo, ed in generale sul banco degli imputati tutti gli esterni, mai continui, mai veramente incisivi se non per sfuriate sporadiche. Ha pagato la tattica Hawks, lasciare Howard in single coverage: il centro dei Magic ha avuto cifre mostruose (27 punti,15.5 rimbalzi e 63% dal campo) ma i tiratori sul perimetro son stati messi in naftalina con percentuali molto basse e non han saputo trovare alternative. Di contro quel famoso talento dei singoli ha portato Atlanta a passare il turno, grazie ad uno dei soliti tiri vincenti alla Crawford che ha chiuso gara 4, alla presenza di Hinrich che a differenza di Bibby difende mettendo pressione sulla palla e ritardando l’entrata nei giochi, all’indubbia pericolosità che hanno nei finali punto a punto. Lo stesso Crawford ha giocato una serie di un certo livello, con nessun esterno che riusciva a seguirne le tracce. Per me sono ancora un punto interrogativo però sembrano tosti. MVP: Jamal Crawford
  • Boston Celtics – New York Knicks 4-0: l’unico sweep è stato riservato ai Knicks, che sono andati vicinissimi a vincere gara 1 ma una volta persa per due grandi esecuzioni dei Celtics han dovuto soccombere anche di fronte alla sfiga, che gli ha privati di Billups e reso Stoudamire a mezzo servizio. Croce sopra. Anthony ha provato ad ergersi salvatore della patria, ma a parte grandi realizzazioni non è riuscito a fare molto, Boston ha sostanzialmente controllato la serie proprio in cabina di regia dove Rondo è stato sole e luna, gestendo i ritmi e anche attaccando come gli si chiederebbe. Il resto è andato via piuttosto liscio, il che ha detto poco sulla reale condizione dei biancoverdi, che non si è capito se giocassero con le marce o meno. MVP: Rajon Rondo
  • Miami Heat – Philadelphia 76ers 4-1: l’unica che ho preso anche nel punteggio, i 76ers han giocato bene, come potevano, Collins ha cercato di allenarla il più possibile ma probabilmente di più non poteva ottenere dai suoi, contando che i cosiddetti big, Igoudala e Brand, non han reso secondo aspettative. Un po’ inconsistenti sotto canestro per arginare le penetrazioni, che bene o male è quel che devi fare contro Miami, va dato merito di aver retto anche in condizioni critiche, provando comunque a giocarsela finché le percentuali lo consentivano. L’unica vittoria è arrivata grazie ad un gran finale di Holiday e Williams, il primo soprattutto da tenere d’occhio anche per il futuro. Bravo anche il rookie Turner che nonostante alcune imbarazzanti figure ha saputo lo stesso reagire sfornando un paio di discrete prove. Che dire degli Heat: secondo me continuano a giocare davvero male in attacco, un antibasket nel senso puro dello spirito del gioco, anche se dietro invece sanno diventare ermetici, eppure vincono. MVP: Dwyane Wade
  • San Antonio Spurs – Memphis Grizzlies 2-4: sorpresona pronosticata solo da Barkley, giù il cappello. Il gomito malandrino dell’argentino ha inciso tantissimo, soprattutto nella gara 1 persa in cui lui mancava. Nonostante ciò ha saputo regalare comunque perle come il buzzer beater da metà campo o il canestro impossibile del pareggio in gara 5. Avevo detto che gli Spurs non sarebbero andati via lisci, verissimo: andiamo con ordine. Duncan aveva benzina nel serbatoio? No. Per il duello Parker/Conley barrare C, nel senso che ha vinto il play di Memphis mentre Tony ha tirato male con brutte scelte tranne in rari momenti. Impatto panchine? Spurs non pervenuta se si pensa che il meglio l’han mostrato Splitter e Neal,i due nuovi. A proposito di Neal, ovviamente ha messo il tiro dell’assurda gara 5. Che Jefferson vedremo? Perché, qualcuno l’ha visto? Detto questo, complimentissimi a Memphis, che ha fatto davvero bene sia per gioco che per mentalità. Grandi ondate dalla panchina, ottima con il volpone Battier, Mayo e le sorprese (almeno per me a questi livelli) Vasquez e Arthur. Tony Allen magnifico, un flipper, quanto lo stiano rimpiangendo a Boston solo loro lo sanno, Sam Young vero jolly spariglia carte (alzi la mano chi lo sospettava così incisivo), Gasol ultra solido ma Z-bo mattatore saltando zero e giocando solo di mancino. Adesso non si può più ignorarlo. MVP: Zach Randolph
  • Oklahoma City Thunder – Denver Nuggets 4-1: in gara 5 è nata la leggenda di uno che era già stella. Durant fa davvero impressione. Denver la serie se l’è giocata tranne in gara 2, il non avere un giocatore di riferimento ha forse fatto si che i finali siano stati mal giocati, e contro una squadra che ha pochi concetti ma ben instillati, specie a chi dare la palla quando conta, diventa dura. Per i Nuggets bene Lawson e Gallinari, specie nel punto vinto, Nenè, a sprazzi Martin e Felton, Afflalo che però non le ha giocate tutte. Nessuno comunque è stato sempre continuo. Dalla sponda opposta solito duo in testa, con Westbrook che però farebbe meglio a selezionare con più cura i tiri, ha spostato e non poco Ibaka, che in attacco migliora quasi a vista d’occhio e in difesa ha smollato 24 stoppate di cui 9 nella gara decisiva, 2 delle quali han invertito il trend pro-Denver prima del dominio di KD. Da sotto si faceva davvero fatica a tirare. Pronostico rispettato. MVP: Kevin Durant
  • Dallas Mavericks – Portland Trail Blazers 4-2: mm qui piccola delusione. Da Portland mi aspettavo di più, soprattutto la panchina ha tradito le aspettative anche se in generale la squadra si è mostrata ancora acerba. Fernandez un fantasmino, Batum ha pennellato qua e là senza finire un quadro, Roy ha illuso in gara 4 ma poi ha sostanzialmente quasi danneggiato. Aldridge molto bene ma si è vista la differenza nei finali con Nowitzki, di strada da fare ne ha ancora. Dallas ha risposto bene, da squadra navigata, sembra avere un Kidd ispirato anche al tiro, il solito efficace e determinante Terry, il solito tedesco, un inaspettato Peja in gara 2, quel che mi ha sorpreso è stata la gestione delle gare, in cui li credevo deficitari e che invece in sostanza han sempre saputo controllare, facendo sbollire i calori di Portland con alcune sfuriate, ma trovandosi sempre a contatto quando contava. Anche dopo essere stati raggiunti nella serie non si sono smontati, anzi han saputo chiudere. Da squadra di veterani quale sono. Continuo a sospettare che non basti per fare ulteriore strada, ma anche qui, pronto ad esser sconfessato. MVP: Dirk Nowitzki
  • Los Angeles Lakers – New Orleans Hornets 4-2: i numeri cinesi Paul li ha fatti davvero e di partite è riuscito a strapparne due, ma anche per lui la benzina non è eterna e negli ultimi due episodi si è visto. Considerato che i compagni sono stati abbastanza inconsistenti o quantomeno ondivaghi (salviamo Landry cuor di leone), il risultato ha del miracoloso. I Lakers probabilmente non si aspettavano tanti grattacapi da subito, ma il loro dominio fisico alla lunga si è fatto sentire e non poteva essere altrimenti, nonostante Gasol non abbia giocato sui suoi consueti livelli. Bynum è bastato ed avanzato, coadiuvato da Odom, Artest, la panchina che ha saputo spaccare gara 5. La notizia migliore è che Bryant non ha mai dovuto strafare, limitandosi a qualche messaggio dei suoi. Un plauso a coach Monty Williams che all’esordio ai playoffs non ha messo la testa sotto la sabbia contro il titano Jackson, ponendogli problemi nonostante la manifesta inferiorità. Bravo anche a Belinelli che ha incamerato esperienza ed almeno una gara di livello, la quinta, ha saputo esprimerla. MVP: Andrew Bynum
 
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Pubblicato da su 2 Maggio 2011 in NBA

 

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Nba Playoffs – Secondo Turno

Neanche il tempo di rifiatare e le semifinali di conference sono già in atto. Tutto secondo le previsioni in questo primo turno? Non esattamente, è qui che sta il bello. Due upset, uno per conference come nell’Nhl ma qui i nomi delle escluse sono roboanti. Usciti dalle scuderie i purosangue galoppano spediti e in un amen ne sono rimaste solo otto, che per quest’anno si possono fregiare della nomea di migliori della lega, dell’élite che conta e nella cerchia degli invitati ci sono un paio di sorprese. Trovare le intruse è piuttosto semplice, si tratta di Atlanta e Memphis, soprattutto quest’ultima che nessuno si aspettava al ballo ma che disputando una grande serie si è autoinvitata di prepotenza. Ora che inizino le danze, quelle maledettamente serie che pongono di fronte le corazzate o presunte tali, non certo il veliero in cerca della folata di vento propizia. Vediamo gli scontri iniziando da Est:

  • 1.Chicago Bulls – 5.Atlanta Hawks: parere mio, l’ago della bilancia sarà rappresentato dal rendimento degli esterni di Atlanta, in particolare Crawford e Hinrich che non si sa ancora se e soprattutto come sarà presente. Il primo sposta dal punto di vista offensivo, e una volta di più ha segnato un tiro vincente, l’ex Kansas invece ti cambia la vita dietro e contando il cliente che arriva adesso farebbe discretamente comodo. Per me giocherà anche con un braccio solo ma in quel caso chi potrà prevedere quanto inferiore sarà il suo impatto nel provare a contenere Rose? Chicago viene da una serie vissuta pericolosamente, con punteggio menzognero o quantomeno silente su quelle che son state le insidie vissute contro una squadra che davvero non aveva nulla da perdere. A ben vedere, anche Atlanta non ha grandi pressioni addosso, ma forse lo sfizio di provare a passare anche il secondo turno per togliersi l’etichetta di squadra senza cattiveria può bazzicargli per la testa. I Bulls sono sembrati un po’ troppo Rose dipendenti, come al solito del resto, ma fino ad ora è stato un bel dipendere. Il vero interesse sarà vedere la sfida tra una difesa organizzata ed un attacco con cinque punte in grado di segnare (quando c’è Crawford) che gioca molto di isolamenti. Oltretutto vincere in casa degli Hawks è sempre un bel rompicapo. Tra le battaglie in campo, da gustare quella tra le batterie dei lunghi, entrambe belle arcigne, e in special modo fra i due ex compagni a Florida Noah e Horford. Se Chicago se li porta attaccati fino alla fine, come clienti sono scomodi e la serie potrebbe farsi lunga. Pronostico: 4-2 Chicago Bulls
  • 2.Miami Heat – 3.Boston Celtics: già ribattezzato lo scontro tra titani, rivelerà quale sia il reale stato delle due squadre, che il primo turno per ragioni differenti ha solo fatto intravedere. I quesiti sono tanti, le risposte certe potrà darle solo il campo. Quando si parla di esperienza dei Celtics si dovrebbe precisare che anche i due big di Miami hanno alle spalle diverse stagioni di playoffs e relative delusioni, se si esclude la cavalcata del 2006 per Wade, e anche diversi comprimari hanno vissuto situazioni delicate, uno su tutti Eddie House. Quel che Boston può mettere sul suo piatto è la qualità delle esecuzioni nei momenti decisivi, che al contrario gli Heat sembrano gestire con più improvvisazione affidandosi al talento individuale. Si parla anche di vantaggio nel ruolo di point-guard dove Rondo potrebbe banchettare su Bibby, ma se Spoelstra decidesse di affidarsi maggiormente a Chalmers gli squilibri potrebbero contenersi. Sarà una bella partita a scacchi, in cui ruolo rilevante avranno le panchine e la capacità di realizzare ondate durante le partite. In stagione regolare a parte l’ultimo episodio dove giocarono solo gli Heat i Celtics han sempre vinto assestando qualche colpetto psicologico su Miami. Di sicuro la pressione maggiore la sentono in Florida dove è arrivato il momento della verità: passare il turno potrebbe davvero sbloccare una squadra che nel primo anno ha dato chiari segni di doversi ancora assestare, soprattutto perché han di fronte una squadra nel più completo senso del termine, quello che loro ancora non sono. Per Boston inutile sottolineare come potrebbe essere l’ultima occasione dunque ogni serie ha lo stesso peso delle altre, fondamentale. Vedremo se lo scombussolamento forzato apportato al roster a febbraio si farà sentire in negativo o potrà essere assorbito. Pronostico 3-4 Boston Celtics

 

A Ovest il palcoscenico è quanto mai aperto alle novità, rispetto alla scorsa stagione è mezzo rivoluzionato e sembra non esserci un vero favorito, ma forse si tratta solo di apparenza:

  • 4.Oklahoma City Thunder – 8.Memphis Grizzlies: ovvio che sia uno scontro inatteso, meno ovvio l’andamento, dato che si tratta forse delle due squadre più in palla del momento; in campo si nota proprio a occhio nudo come sprigionino un’energia maggiore rispetto agli altri. Memphis è da prendere dannatamente sul serio, come ha urlato Zach Randolph all’intervistatrice al termine di gara 6 “siamo forti, non andiamo in televisione ma siamo forti e ora l’hanno capito tutti”. Parole sante Z-bo, con la perdita di Gay sembrano essere ancora più compatti, l’unica incognita è vedere se faranno la fine degli Warriors, corsari a Dallas nel 2007 ma asfaltati dai Jazz appena dopo. Parere del sottoscritto, sono da tenere d’occhio anche perché di fronte hanno una squadra giovane, alla prima stagione con i fari realmente puntati addosso, che dovrà gestire la pressione dell’esser favorita d’obbligo. La serie potrebbe rivelarsi più equilibrata del previsto, le chiavi saranno la battaglia sotto canestro, con due coppie estremamente solide in cui i Thunder potrebbero avere un piccolo vantaggio potendo contare su due riserve toste (ma Memphis schiera qui la sua stella e verranno testate seriamente le capacità di Ibaka), la selezione di tiri di Westbrook, che non è esente da critiche, l’impatto della second unit che propende per Oklahoma ma certo non nettamente, anzi. Certo, se Durant fa il Durant le cose potrebbero diventare più semplici, ma l’entusiasmo dei Grizzlies dovrebbe ispirare prudenza perché a fare sgambetti ci si prende gusto. I finali tirati sarebbero un’incognita perché i Thunder sono piuttosto prevedibili andando dritti da KD salvo idee difformi del loro play, mentre per ora Memphis è stata davvero costante nel segnare i tiri che contano. Dovessi puntare un nichelino sulla serie più divertente lo metterei su questa. Pronostico: 4-3 Oklahoma City Thunder
  • 2.Los Angeles Lakers – 3.Dallas Mavericks: questa per me è l’incognita più grande, perché potrebbe trattarsi di una bolla come invece presentare risvolti inaspettati. La domanda fondamentale è: quali Lakers vedremo? Quelli che dopo una lenta carburazione tutti si aspettano, oppure quelli più abbordabili che han faticato al primo turno proprio perché non se lo aspettavano? E Dallas ha una convinzione nuova o non ha perso gli antichi vizi? Di certo c’è che i Mavericks presentano una struttura completamente diversa dagli Hornets, idem i Lakers da Portland, quindi i problemi da affrontare per le due squadre cambieranno. I texani sono messi meglio sotto canestro ma per contenere Bynum e Gasol rischiano problemi precoci di falli; vero anche che Nowitzki è un bel rebus specie se uno dei due deve uscire a marcarlo: o c’è sacrificio o toccherà per lunghi tratti a Odom o addirittura Artest, qualora Dallas scegliesse la modalità piccola con i due play più Terry. Proprio il Jet è un giocatore importante perché potrebbe far male non avendo Los Angeles grandissime opzioni per contenerlo a livello di single coverage. Scorrendo i roster però la moneta se la guadagnano ancora i Lakers, vale a dire che dal mio punto di vista la serie è in mano loro e conteranno più i loro demeriti che i meriti di Dallas, ma come spesso capita potrei sbagliarmi. Perché succeda però i Mavericks devono esibire una prestazione che rasenti la perfezione, tornando anche ai livelli di intensità e continuità di quando eliminarono gli Spurs nel 2006 che da allora non si sono più rivisti. Pronostico: 4-2 Los Angeles Lakers
 
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Pubblicato da su 1 Maggio 2011 in NBA

 

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Bad Boys Atto II

Eravamo in debito della storia del Leone. Una delle tante che popola il mondo underground statunitense, composto da giganteschi disagi sociali e lotta per la sopravvivenza. Leon viene sottratto alla custodia della madre dai servizi sociali quando ha solo cinque anni. Del padre neanche a dirlo si son perse le tracce quando ancora il pupo giaceva in fasce. La donna annaspa in una vita tanto povera quanto disordinata e non viene ritenuta in grado di badare anche al piccolo ed al suo fratellino, spostati in quella che noi definiremmo una casa famiglia, la dizione moderna dell’orfanatrofio. Comincia l’odissea in quel di Chicago, un percorso che lo porterà ad incontrare un centinaio di psicologi, vedere la domanda di adozione formulata da dodici, dicasi dodici diverse famiglie incepparsi sempre ad un appoggio a tabella dal canestro per problemi burocratici vari e assortiti, scappare da una di queste “group homes” vivendo come un senzatetto per un paio di giorni a soli undici anni assieme al fratellino Jerry. Quando Leon inizia a frequentare l’high school viene addirittura separato dal fratello, cui ovviamente è legatissimo essendo il suo unico affetto, perché la Lydia House non ha un programma per adolescenti. Senza voler insegnare il mestiere ad altri, ma i soloni arrecano un ulteriore trauma ad un ragazzo già spaesato. Vicende che ti segnano. Non c’è bisogno di una volpe né di una laurea per riscontrare in lui una grande fragilità interna, e una certa avversione a fidarsi di tutto e tutti. Bill Green, un corpulento signore che era il suo supervisore alla Sullivan House, l’ultima dimora del Leone prima della sua chiamata tra i pro, lo descriveva come un ragazzo estremamente introverso, smanioso dell’approvazione altrui che rifiutava qualsiasi rimprovero e raramente manifestava le sue emozioni. Un ragazzo con bisogno d’affetto insomma, ma nonostante la sua precaria situazione la dea bendata gli tende comunque una mano donandogli un fisico ideale per la palla a spicchi, tanto che riesce a portare la Martin Luther King High School in cui milita al titolo dei licei di Chicago, impresina certo non semplicissima visto l’ambiente super competitivo che si trova nella wind city. Punti in abbondanza, rimbalzi a grappoli, stoppate distribuite ecumenicamente a chiunque, ma quel che fa voltare più di una testa anche ai piani alti è l’apertura di braccia, smisurata per un ragazzo che guarda gli altri da un’altezza già non indifferente di 2.07. Al Leone basta annusare un secondo l’aria che tira e si dichiara subito disponibile per il draft: dopo anni di sofferenze si convince che l’Nba sia nel suo destino e non attende la durata di uno sbadiglio per rendersi eleggibile ed iniziare una nuova vita condita da svariati presidenti morti nelle tasche. Che certo non danno l’amore e l’affetto di una famiglia, ed infatti Leon non gli ha mai dato grande peso anche quando giocava al liceo: sostanzialmente tutti quelli che gli venivano passati dal coach venivano girati alla casa che lo ospitava. A rappresentare un primo gradino verso il riscatto era invece la nuova situazione che si prospettava (certo bisognerebbe aggiungere che i risultati scolastici non proprio brillanti gli avrebbero negato l’eleggibilità all’NCAA). 30 giugno 1999, Washingotn, draft Nba dopo la stagione accorciata dal lockout: alla penultima chiamata del primo giro l’avvocato Stern pronuncia il nome del ragazzo di Chicago, selezionato dagli Spurs che però lo girano seduta stante ai Mavs per i diritti sul croato Giricek. Che sia caduto così in basso non è inaspettato: su di lui venivano nutriti svariati tipi di dubbi, in primo luogo caratteriali; del resto Smith era solamente un liceale, e date le sue vicissitudini l’impatto col mondo professionistico poteva non essere dei più semplici. Niente di più vero, ma Dallas, guidata dai Nelson, decise che con quel corpo valeva la pena fare un tentativo. Favola americana, il brutto anatroccolo diventa cigno? Citofonare ad altri indirizzi, qui la sceneggiatura prende altre pieghe. I guai paradossalmente infatti non sono quelli raccontati precedentemente, da iscrivere invece a causa scatenante. I problemi iniziano presto, e dilagano. Alla prima seduta di allenamento con i texani pensa bene di litigare con un assistente dei Mavericks che gli chiedeva di fare alcuni scatti, abbandonando la seduta. Seguono vari episodi che attestano la sua difficile gestione, dal non essersi presentato ad alcune sedute estive di allenamento, al rifiuto di portare i bagagli della squadra, classica incombenza destinata alle matricole. Ciliegina sulla torta, il licenziamento dell’agente assunto pochissimo tempo prima. Dallas non lo ritiene pronto per giocare e gli propone di trascorrere un anno in una lega minore o in Europa: Smith prima pare acconsentire, ma poi rifiuta. La faccenda si trascina fino a novembre, quando in successione scaraventa un masso sul parabrezza di una macchina e viene trovato in casa in fin di vita dopo aver ingurgitato 250 aspirine con chiari intenti suicidi, che lui stesso conferma. Che poi sia stato trovato col volto dipinto di verde militare ed abbia risposta all’agente farneticando che appartenesse ai nativi americani impegnati a scontrarsi contro l’invasore Colombo, certo non depone a favore del suo stato mentale. Il Leone infatti viene ricoverato per un mese in una clinica psichiatrica, dove cerca di superare il trauma causatogli dall’ennesimo abbandono subito, quello della sua ragazza, a sua volta promessa liceale del basket. Ripresosi però aggiusta la cosa a modo suo. Male. La ragazza viene minacciata con una pistola, la mamma di lei si trova l’auto sfasciata a colpi di mazza da baseball. I Mavericks decidono di sciogliere il contratto, ma essendo Leon una prima scelta ha un garantito: le parti si accordano per diluirlo in un decennale da centomila annui, una discreta polizza. Intanto navigando tra i problemi il Leone si accasa in CBA, dopo fugace apparizione in IBL, altra destinazione in cui le turbolenze non finiscono. Inizia la stagione a Sioux Falls dove guida la lega in rimbalzi perché con quell’apertura alare unita alle doti atletiche a quel livello li prende anche senza volerlo, ma dopo poche partite viene dirottato a Gary. Motivi? Litigi coi compagni, lancio di qualsiasi cosa gli capiti a tiro negli spogliatoi durante gli intervalli: sedie, asciugamani, scrivanie.. anche a Gary le cose non migliorano, coach Barry Stevens dice che ha timore a sostituirlo per paura di quello che potrebbe fare a bordocampo. Ai piani alti intanto viste le cifre Orlando un pensierino a lui l’aveva fatto: sentita la storia delle sgabellate, decide di soprassedere. Gli Hawks invece rischiano alla roulette e gli allungano un decadale. Con Atlanta gioca una manciata di partite, venendo poi scambiato a Milwaukee dove però piede in campo non lo mette mai. L’odissea continua, tra un ritorno a Gary, una nuova chance concessagli da Seattle, il navigare tra le leghe minori americane e brevi apparizioni in tutta l’America Latina, da Porto Rico all’Argentina, nella stessa squadra in cui aveva militato Ginobili, passando per Messico e Cile, la sua ultima apparizione. Addirittura vanta la partecipazione al campionato della Giordania. Un globetrotter insomma, senza fissa dimora. Quella del Leone è una triste storia, quella di un ragazzo cresciuto senza affetti e controllo, uno degli episodi che ha convinto l’Nba a varare nuove regole sulla possibilità di scegliere liceali.

 
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Pubblicato da su 25 aprile 2011 in Basket

 

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Playoffs Nba: Western Conference

  • 1.San Antonio Spurs – 8.Memphis Grizzlies : eccola là. Ultima partita di stagione regolare e chi va a farsi male al gomito? Manu, in dubbio per gara 1. Idea mia, l’argentino è l’uomo chiave dei texani, o meglio è quello che sposta, perché tenendo conto di tutte le variabili se la squadra sta bene fin dove arriva lo decide lui. Pronti via e si trovano una bella patata da pelare, ma d’altronde che l’ovest fosse mediamente più insidioso a livello di primo turno lo sapevano anche i muri. Memphis è una squadra da prendere con le molle, ha perso il go-to-guy Rudy Gay ma ne ha risentito poco, potendo contare sull’ottimo apporto di Tony Allen che finalmente sembra dare un senso alla scelta di lasciare Boston in estate. Inoltre i Grizzlies presentano una Zach Randolph formato stellare, che solo la piazza poco seguita e i guai disciplinari passati tengono fuori dai riflettori dei media. In realtà Memphis vanta un buon quintetto in ogni elemento e una discreta panchina, all’altezza di creare problemi ad una squadra che ha rallentato fisiologicamente dopo due terzi di stagione passati ad andature Boltiane. Quest’anno c’è stato anche il cambio di testimone, scettro passato da Duncan a Parker-Ginobili e abiura di Popovich ai ritmi controllati: c’è da pensare che nella post-season qualcosa cambi, soprattutto c’è da capire quante energie ha tenuto in serbatoio il caraibico perché da quello si capirà se Memhis ha vantaggio nel pitturato o no. Le chiavi: Parker può abusare di Conley o il duello sarà equilibrato? Per me, barrare A. Che impatto avrà la panchina degli Spurs? Difficile dirlo, che uomini come Hill o Bonner possano produrre quanto in stagione è una visione ottimistica. Nutro meno dubbi su Gary Neal che anche se novizio di Nba due o tre ne ha viste in vita sua. Che Jefferson vedremo? Boh. Per me San Antonio non andrà via liscia come l’olio specie se Ginobili è sotto il par. Pronostico: 4-1 San Antonio Spurs
  • 4.Oklahoma City Thunder – 5.Denver Nuggets : lo scontro che negli States tutti vogliono vedere. Oklahoma è in costante crescita di anno in anno e l’arrivo di Perkins dona grande sostanza sotto canestro e quella durezza che mancava. Denver ha una squadra anodina per gli standard Nba, senza stelle conclamate ma profonda, con una second unit che in sostanza equivale la prima e la variabile impazzita J.R. Smith che può ovviamente far danni ma anche incanalare un partita da solo con le sue sfuriate offensive; inoltre coach Karl ha mostrato di saper gestire il materiale a disposizione almeno fino ad ora. I Nuggets insomma hanno tutto per fare male a tantissime squadre presentando diversi problemi di match-up, ma la loro sfortuna è trovarsi di fronte i giovani ed atletici Thunder, che da questo punto tornano la pariglia. La lotta sotto canestro sarà accesissima tra le coppie Martin/Nenè e Ibaka/Perkins, Sefolosha ha la capacità di prendere il giocatore più pericoloso della serata che vada dall’1.90 ai 2.05 e rendergli la vita ostica (chiedere a sir Kobe), e poi ci sono i due, Westbrook e Durant. Loro si può cercare di contenerli, non certo fermarli, soprattutto KD che affronta con disinvoltura tutte le situazioni di gioco e quando sbaglia è più per colpa sua. Da non sottovalutare l’impatto della panchina di Oklahoma, che mi sembra bella solida e guidata dal panterone Harden che sa incidere sulle partite. Denver ha due play penetratori che amano il ritmo alto, cosa che ai Thunder starebbe bene, e la capacità di restare attaccati alle partite anche quando non sono in serata. Dal canto loro i Thunder mi sembrano ancora un po’ acerbi nel gestire i finali tirati, dove hanno sì due grandi finisseur ma la tendenza a smettere di giocare per rifugiarsi negli isolamenti. Immagino saranno tutte partite combattute. Pronostico: 4-2 Oklahoma City Thunder
  • 3.Dallas Mavericks – 6.Portland Trail Blazers : altra serie molto affascinante e ricca di incognite. Dallas ha vinto tanto ma contro le corazzate ha convinto poco e nei playoffs ha una nomea poco invidiabile da cui vuole riscattarsi; onestamente mi sembrano ancora una volta tutti sulle spalle del tedesco che è all’ostinata caccia dell’anello sfuggitogli nel 2006. Di fronte però hanno dei cagnacci strutturati in maniera simile, anzi dal mio punto di vista con qualcosa in più. Stella con stesso ruolo di Nowitzki, ossia LaMarcus Aldridge che avute le chiavi della squadra ha prodotto una stagione notevolissima e può consacrarsi nei playoffs. In mezzo all’area un intimidatore come Chandler, Camby. Play di sicura affidabilità in cabina di regia, Kidd per i texani e Miller a Portland; una selva di giocatori nelle posizioni 2-3, con ago della bilancia pendente per i Blazers: i Mavs hanno il solo Terry che sposta per davvero dalla panchina, Portland può contare su Matthews, Batum, Fernandez e Wallace, deputato per stazza anche a poter curare Nowitzki. Entrambe mi sembrano carenti nel reparto lunghi, cioè senza grandi soluzioni alternative ai titolari, ma dalla panchina per i Blazers c’è anche un’ulteriore asterisco, Brandon Roy. Quello che in sostanza è il miglior giocatore del team viene da una doppia operazione alle ginocchia ed ha i minuti calmierati, ma tutto quello che saprà portare andrà a beneficio della sua squadra come bonus e potrebbe generare un punto a favore mentale incisivo. Grande azzardo, ma mi gioco l’upset. Pronostico: 2-4 Portland Trail Blazers
  • 2.Los Angeles Lakers – 7.New Orleans Hornets : la solita fortuna sfacciata dei campioni. A ovest circolavano due segreti di pulcinella: c’è una squadra più debole di tutte le altre ed una che tutti vorrebbero affrontare il più tardi possibile; ovviamente i Lakers hanno pescato gli Hornets ed evitato di incrociare i Thunder fino all’eventuale finale di conference. L’infortunio di Bynum non sembra nulla di grave, ma anche senza di lui Los Angeles non dovrebbe registrare grandi problemi: se come i Celtics avvieranno la modalità playoffs, i campioni diventano macchina ardua da fermare, essendo completi, duttili, talentuosi in attacco, organizzati in difesa e guidati da sua maestà l’orco Bryant che da sabato sarà un uomo in missione. Sull’altra sponda l’infortunio di David West parere mio ha messo la croce su ogni velleità di New Orleans: oltre ad essere il principale terminale offensivo era anche l’uomo con cui il pick’n’roll di Chris Paul creava problemi alle difese. Tolto lui CP3 pare isolato in quanto non esiste un realizzatore solido, la batteria di lunghi seppur discreta non regge il confronto con quella dei Lakers, Ariza tenterà di ostacolare Kobe spendendo tanto e anche tra le panchine il punto sembra appannaggio Lakers. In eventuali finali punto a punto inoltre sembra difficile che i campioni si possano far sorprendere. L’unica chance, che è più una speranza, resta legata ad una serie mostruosa di Paul. Se farà i numeri cinesi, forse gli Hornets hanno la possibilità di portarne a casa una. L’altra eventualità è un atteggiamento di sufficienza dei californiani. La ragione dice sweep non troppo impegnativo, ma romanticamente.. Pronostico 4-1 Los Angeles Lakers
 
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Pubblicato da su 15 aprile 2011 in NBA

 

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Playoffs Nba: Eastern Conference

Finalmente si comincia. Da sabato anche l’Nba inizia a fare sul serio, o meglio si comincia a giocare per l’anello in partite da dentro o fuori. La stagione è stata interessante, come al solito non ha offerto uno spettacolo continuo ma ondivago, naturale quando si devono affrontare 82 partite più tutti i viaggi e gli spostamenti in poco meno di sei mesi. Per 16 squadre però il cammino non è ancora terminato, anzi tutte sperano di protrarlo il più a lungo possibile e alcune coltivano legittime aspirazioni di concludere a giugno con una parata tra le strade cittadine per mostrare orgogliosamente il titolo di campioni appena conquistato. Così si presenta al via il tabellone della costa est, di cui proverò a fare un’analisi con relativo pronostico:

  • 1.Chicago Bulls – 8.Indiana Pacers : la serie non sembra presentare troppe difficoltà per i Bulls, che nelle ultime due giornate sono riusciti a scavalcare San Antonio agguantando il miglior record della lega. I Pacers sono l’unica squadra tra le sedici che hanno raggiunto i playoffs che vanta un record perdente, sono privi di un giocatore importante come Dunleavy e tornano alla post season dopo cinque anni di assenza, traguardo che la dirigenza giudica già più che soddisfacente anche perché giunto un po’ inaspettato. Questo però consentirà alla squadra di giocare con entusiasmo e senza pressione addosso, tentando di rendere la vita dura alla testa di serie numero 1, cosa che comunque reputo difficile.  I Bulls hanno mostrato di avere una guida sicura in panchina che ha saputo instillare nella squadra intensità, solidità difensiva anche quando li abbandona il ritmo in attacco e la capacità di dosare lo sforzo durante la gara. Per tutto il resto c’è Derrick Rose, che sarà curioso vedere in una serie dove la difesa potrà adattarsi per contenerlo. Quella di Indiana non sembra la più indicata anche se la presenza di Roy Hibbert sotto canestro potrà dare qualcosa. Chicago però mi sembra superiore in ogni reparto per quantità e qualità, tanto più che la stella di coach Vogel, Danny Granger, si troverà di fronte a Loul Deng; l’inglese ha disputato la sua miglior stagione Nba, diventando un perno della squadra in entrambe le metà campo. I Pacers chiederanno un contributo anche a Collison ed Hansbrough, ai loro primi playoffs, ma rischiano di non trovare valide risposte alla difesa di Chicago che se ha la possibilità di lanciare in campo aperto Rose diventa francamente impraticabile. Oltretutto anche nella lotta tra panchine quella della città del vento mi sembra più fornita con atleti (Brewer), tiratori (Korver), “minatori” (Gibson) e professori del gioco (Thomas). Mi sbaglierò, ma Chicago farà fatica a perderne una. Pronostico: 4-0 Chicago Bulls.
  • 4.Orlando Magic – 5.Atlanta Hawks : tolto il blasone, la serie più interessante ad Est. Entrambe arrivano coi fari spenti e senza troppe attenzioni dei media, il che può essere un bene. Dwight Howard viene da una stagione strepitosa e nessuno della front line di Atlanta sembra potergli creare grandi grattacapi, almeno lungo una intera serie. I vari Collins Pachulia, lo stesso Horford rischiano di incappare in frequenti problemi di falli, a meno che il centro dei Magic non torni a mostrare problemi di maturità. Potendo sfruttare il vantaggio sotto canestro Orlando proverà ad aprire il campo per i suoi numerosi tiratori dall’arco: non è un segreto che il gioco dei Magic passa dal tiro da fuori, se riesce ad essere arginato il team di Van Gundy perde sicuramente in efficacia. Nondimeno peserà il rendimento di Turkoglu: se il turco saprà elevarlo ai livelli dei playoffs di due stagioni or sono i Magic diventerebbero cliente scomodissimo capace di presentare diversi rebus. I dubbi sulla squadra però permangono perché non sembra inscalfibile mentalmente e dopo la trade che ha rivoluzionato il roster il settore lunghi dietro ad Howard non sembra essere molto polposo. Di contro gli Hawks danno la stessa impressione da diversi anni, ovvero quella di una buona squadra, stabilmente ai playoffs ma incapace di effettuare il salto di qualità che la porti a diventare una contender. Punti forti e deboli si ripetono: ottimo talento individuale specie in uomini come Johnson, Smith, Horford, Crawford, ma anche preoccupante tendenza a vivere tantissimo di isolamenti e senza un sistema. In difesa sono comunque ostici perché hanno quintetti molto duttili ed in grado di cambiare su tutti. L’anno scorso la stessa serie finì con uno sweep di Orlando nelle semifinali di conference, ma quest’anno gli Hawks conducono gli scontri diretti 3-1. In sostanza Atlanta va fin dove la porta il talento dei singoli, che è notevole ma se non organizzato contro squadre di punta può portare a casa un paio di partite, non di più, nonostante potrebbero essere indigesti alla franchigia della Florida. Pronostico: 4-2 Orlando Magic.
  • 3.Boston Celtics – 6.New York Knicks : ecco, questa sfida invece la aspettano tutti almeno per il nome delle contendenti. New York torna ai playoffs dopo anni di assenza e disgrazie e l’atmosfera attorno al Madison è elettrica, ma parere mio questa serie è totalmente nelle mani dei Celtics: dipenderà quali saranno le reali condizioni della squadra, che dalla pausa per l’All Star Game pare aver tirato il freno a mano come già aveva fatto le due stagioni precedenti. Se i Celtics cominciano a giocare come ci hanno abituato non c’è accoppiata Anthony-Stoudamire che tenga, ma l’incognita della serie è proprio questa, aggravata dal fatto che la trade ha cambiato gli equilibri dei biancoverdi che ancora sembrano incerti della situazione lunghi: buon per loro che New York non è una corazzata sotto canestro. Per i Knicks sarà importante il rendimento delle due stelle ma forse ancor più determinante risulterà essere l’esperienza di Billups, veterano di mille battaglie e capacissimo ad alzare il suo rendimento in situazioni bollenti. Inoltre la truppa di D’Antoni resterà legata a doppio filo alle sue percentuali da fuori, il che non è mai un buon segnale in una serie lunga: se troverà la solita difesa Celtics potrebbe incappare in grosse difficoltà. Da parte sua la squadra di Doc Rivers è sempre enigmatica nel finale di stagione, anche se analizzate le due squadre Boston è più forte di New York. Dato che le possibilità di cavalcata verso un secondo titolo per Pierce, Allen e KG si assottigliano  ogni anno data la carta d’identità, mi sorprenderebbe se i Celtics non giocassero al massimo del loro potenziale, che forse non sarà sufficiente per raggiungere le finali, ma certamente gli consentirebbe di passare il primo turno. Pronostico: 4-2 Boston Celtics
  • 2.Miami Heat – 7.Philadelphia 76ers : altro accoppiamento che non dovrebbe presentare grosse sorprese, come d’altronde penso tutti quelli del primo turno ad est. Miami dopo una regular season altalenante in alcuni suoi momenti, normale per un gruppo appena assemblato, sembra aver trovato una sua dimensione, certo non definitiva ma bastevole se l’avversario non è tra i top team, ed i 76ers non lo sono. Oltretutto il bilancio stagionale recita un secco 3-0 per gli uomini di Spoelstra. Non che il team di coach Collins non possa presentare grattacapi: la squadra è giovane, talentuosa, con un paio di uomini di riferimento, Iguodala e Brand, ed una panchina tostissima, arma che potrebbe incidere contro una squadra dove il punto forte non son certo le riserve. Qui però inciderà molto l’apporto di Lou Williams: il play di Phila viene da un infortunio e sembra essere recuperato, ma bisognerà constatare in che condizioni. Philadelphia è già contenta del risultato ottenuto e non pensa di avere verosimili chances di passaggio del turno, ma vale lo stesso ragionamento fatto per i Pacers, questo può essere un vantaggio nel farli giocare meglio. Interessante sarà vedere come giocheranno gli Heat in caso di finali tirati, anche se non credo sia questa la serie che darà indicazioni rilevanti su Miami. Philadelphia userà queste partite soprattutto per far assaporare il clima playoffs ai suoi ragazzi, e si riterrà soddisfatta se riuscirà a strappare un paio di gare. Pronostico: 4-1 Miami Heat.
 
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Pubblicato da su 14 aprile 2011 in NBA

 

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Premi Stagionali Nba: le mie candidature

Con i playoffs che premono alle porte, è ora di tirare le somme e dare i giudizi sulla stagione regolare che ci si appresta a lasciarsi alle spalle, ricca di spunti interessanti, cambiamenti e novità. Per quanto riguarda i riconoscimenti individuali, cui va dato il peso che meritano, ornamentale secondo me, ecco i miei nomi:

  • MVP : Derrick Rose (Chicago Bulls). Scelta acclamata a furor di popolo, non è ancora ufficiale ma probabilmente si tratta solo di formalità. Se per miglior giocatore si intende il migliore in assoluto io resto sempre col mamba che si aggira per Los Angeles, se però intendiamo il giocatore che più incide sulle sorti della sua squadra e più l’ha aiutata a migliorare allora il nome è quasi obbligatorio, ed è quello di questo ragazzo riservato e compassato, almeno all’apparenza. Terzo anno nella lega, crescita esponenziale, con intelligenza sta lavorando su tutti quelli che sono i suoi difetti. A livello di cifre è cresciuto in tutte, considerando poi che viene spesso raddoppiato acquistano valore maggiore. Diventato sicuro dalla lunetta sta costruendo un tiro dall’arco affidabile: se saprà diventare continuo, buonanotte perché un primo passo come il suo e la capacità di accelerare anche quando sembra già alla massima velocità, che di per sé è felina, non li possiede praticamente nessuno. L’anno scorso i Bulls hanno agganciato a fatica i playoffs, quest’anno partono con la prima moneta ad est e lo zampino del numero 1 si sente eccome. Si porta sulle spalle l’intero peso della squadra, c’è molta curiosità di vederlo nei playoffs ed in una serie lunga dove le difese proveranno ad adeguarsi.
  • Rookie dell’anno: Blake Griffin (Los Angeles Clippers). In questo caso ancor più che nell’altro concorrenza sbaragliata. Ad inizio stagione si prospettava un dualismo con John Wall, ma dopo poche settimane si è capito come non ci fosse gara. Blake finisce tutte le settimane negli highlights grazie alle sue spettacolari schiacciate, ma il suo gioco racconta anche altro. Cifre come le sue in ala grande al primo anno le collezionava solo Duncan, il che può voler dire tanto. Doppie doppie a raffica, punta tanto sulla prestanza fisica e atletica, dove è debordante, e almeno per vincere il premio basta e avanza. Per assurgere a stella però deve lavorare e parecchio sulla tecnica, cosa di cui è consapevole. Sta già acquisendo un tiro da fuori decente, da piazzato. Il materiale insomma è un po’ grezzo ma il talento su cui lavorare c’è tutto, e forse viste i numeri accumulati (oltre 22 punti e 12 rimbalzi) quello che sorprende di più è proprio il margine di miglioramento. Menzione anche per Landry Fields di New York, scelto alla 39 e rivelatosi cavallo da corsa purissimo da subito. Grande conoscenza del gioco (viene da Stanford) e animale da rimbalzo pur essendo una guardia.
  • Coach dell’anno: qui probabilmente la scelta cadrà su Tom Thibodeau dei Bulls, capace alla stagione d’esordio dopo anni di assistentato di raggiungere le 60 vittorie trasformando i Bulls in una potenza dell’est, ma la mia scelta romantica va su Doug Collins (Philadelhia 76ers). Riesumato dopo anni che non era capo allenatore, il vecchio Doug ha dimostrato che se si sa allenare non si perde mai la mano. Presa in mano una formazione ricca di talento ma giovane e con ruoli intasati dalla troppa concorrenza, ha saputo modellare una bella squadra, che ha creato diversi grattacapi anche ai migliori team della lega ed ha saputo riprendersi dopo un inizio traumatico, condizionato da un calendario piuttosto infausto. Dopo il 3-13 iniziale quest’anno Philadelhia va ai playoffs dopo averli mancati l’anno precedente e mal che vada finirà col 50% di vittorie, migliorando di 14 gare il record della stagione passata.
  • MIP: Nick Young (Washington Wizards). Ragazzo che sembrava poter esplodere due stagioni or sono ma aveva rallentato in quella passata, ha saputo migliorare praticamente in tutte le voci statistiche, dai punti, più che raddoppiati, passando per minuti giocati, rimbalzi, assist, percentuale dal campo, ma soprattutto è diventato il principale terminale offensivo della squadra. Una squadra piuttosto derelitta, che ha pensato di poter avere vari leader, da John Wall , dimostratosi ancora acerbo, passando per Arenas prima e Lewis o Howard poi. Per un motivo o per l’altro son tutti mancati all’appello e dunque il proscenio lo ha preso lui, prendendosi la responsabilità dei palloni importanti nei (rari) casi in cui i Wizards riuscivano a stare in partita. Sul podio anche Paul Millsap, planato in quintetto base dei Jazz ed ormai una certezza ma che già aveva dato prova di sostanza l’anno scorso, e Demar DeRozan, che ai Raptors ha avuto una crescita paragonabile nei numeri a quella di Young ma però è meno incisivo nei finali ed essendo davvero giovane rientra più in un normale discorso di crescita dalla stagione da rookie alla successiva più che in un’esplosione inaspettata dopo alcune stagioni.
  • 6° Uomo: Lamar Odom (Los Angeles Lakers). Semplicemente il miglior giocatore in assoluto che si alzi dalla panchina, dal mio punto di vista. Sulle sorti della loro squadra incidono tanto anche Jason Terry (che segna più di tutti) o Jamal Crawford, così come sono preziosi pure James Harden o Glen Davis e parliamo sempre di squadre di prima fascia. Lamar però non decide solo le sorti delle singole partite, ma pure quelle dei titoli. Ovvio, è un pigro di natura, ma quando inserisce la modalità finali Nba diventa un rebus ingestibile dagli avversari, dimostrando di essere capace di fare praticamente tutto sul parquet, usando solo l’adorata mancina per giunta. Conclude in penetrazione, pennella dalla media, sa colpire anche dall’arco, è sostanzialmente il play dei Lakers, gestisce la transizione, prende grappoli di rimbalzi, ha braccia lunghe per la difesa di squadra ed individuale, tanto che ai mondiali giocava centro. Capace di cambiare il volto ad una partita in una manciata di minuti.
  • Difensore dell’anno: Kenyon Martin (Denver Nuggets). Qui si può sindacare molto di più, anche perché già la stessa definizione di difensore andrebbe ben esplicata. Artest per esempio è un terrificante difensore individuale anche se non segue proprio le basi tecniche classiche, e come difensore di squadra invece spesso è pessimo perché si perde. Se uno molla stoppate a raffica non significa che sia un gran difensore. Martin, come anche Garnett, per me riassume il concetto di grande difensore: sa coordinare la difesa di squadra anche vocalmente, ruotare con tempi e spazi giusti, e quando si occupa del proprio uomo è intimidatorio. Sempre aggressivo, sempre incollato, grande tecnica nel difendere il post basso, ha una notevolissima velocità di piedi che gli consente di reggere sia contro i pari ruolo, ali e centri, sia contro una grande fetta dei piccoli, che riesce a contenere per due o tre palleggi in scivolamento. Cosa che pochissimi altri si possono permettere.
 
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Pubblicato da su 12 aprile 2011 in NBA

 

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Il mio Quintetto Nba Europeo

Si tratta di un giochino in cui mi è sempre piaciuto cimentarmi, ovviamente fine a se stesso ma nondimeno divertente da portare avanti specie se in compagnia, in cui ognuno esprime la propria personale opinione, come giustamente ci ricorda con toni più coloriti il grande Clint Eastwood. Se dovessi creare una squadra di giocatori Nba composta esclusivamente da giocatori europei, su chi ricadrebbe la mia scelta? Chi farebbe parte del mio starting five? Beninteso, ad oggi la batteria di giocatori provenienti del vecchio continente è piuttosto nutrita, con oltre 20 nazioni rappresentate e nuovi talenti pronti ad essere lanciati, e dovendo creare una squadra di 12 elementi questa avrebbe legittime aspirazioni a competere per il titolo. Ma dovendo puntare solo su 5 giocatori, senza ammassare talento ma guardando ad un bilanciamento tra attacco e difesa, valutando anche un’eventuale amalgama che ovviamente non è possibile stabilire a priori, chi sarebbero i miei candidati? Procedo:

  • Playmaker: Tony Parker (San Antonio Spurs). D’accordo si può considerare scelta facile. In realtà non è un vero play nel senso puro del termine, non vale un Chris Paul o uno Steve Nash nella gestione della squadra, del ritmo partita e soprattutto nel mettere in ritmo i compagni. Il francese è più il capostipite di una nuova generazione di point guard, meno passatori e più realizzatori, dotati di mirabolanti doti atletiche. Contrastato forse dal solo Ty Lawson, Parker è il giocatore più rapido nel percorrere il campo in direzione Nord-Sud, vantando incredibili accelerazioni che lo portano a concludere un numero di volte irreale nel pitturato per uno della sua stazza e della sua altezza. Conduce con vagonate di distanza la classifica dei punti realizzati nel pitturato da un piccolo, da cui arriva la maggior parte del suo fatturato. Col tempo però ha anche imparato a mettere un affidabile tiro da fuori, specie se piazzato. Non è un gran difensore in termini pratici e di continuità all’interno della partita, ma fisicamente nonostante le apparenze tiene botta con gente più grossa di lui, vedasi in post basso dove difficilmente va sotto. Inoltre è un vincente, cosa che non guasta mai.
  • Guardia: Thabo Sefolosha (Oklahoma City Thunder). Non so con che criteri vengano scelti i componenti dei quintetti difensivi, ma questo dovrebbe sempre essere tra i candidati. Gioca in una realtà che da perdente si è trasformata in vincente con il passare del tempo, ed una parte del merito è anche sua. In attacco siamo ancora ai primi rudimenti, ma la sua abilità di tiratore dagli scarichi è sottovalutata come anche la grande intelligenza cestistica che aiuta sempre in entrambe le metà campo. Difensivamente ha pochi eguali, considerando che quasi ogni sera è deputato a prendere in consegna la stella avversaria, dato che nella sua posizione nell’Nba girano diversi satanassi. Lo fa sempre egregiamente aiutato da solidi fondamentali difensivi ed una notevole apertura di braccia. Lo svizzero inoltre è un uomo squadra, di quelli che si applicano sempre senza mai alzare la voce e lavorano al progetto comune stando al proprio posto. Ottima qualità.
  • Ala Piccola: Danilo Gallinari (Denver Nuggets). In costante progresso e crescita, probabilmente anche in termini di centimetri. Eccellente tiratore dalla lunetta e dall’arco, che con un back-court non irresistibile sotto questo aspetto è essenziale per aprire la scatola. Esperto e smaliziato ben oltre la giovane età, sa stare benissimo in campo dove compie molte piccole cose per la squadra. Offensivamente ha diverse armi in faretra, non solo il tiro piazzato. Fa ancora un po’ fatica quando deve crearsi un tiro da solo, ma nei momenti decisivi delle partite ha dimostrato con diversi campanelli la sua presenza. In difesa si applica anche se non è un muro invalicabile, ma si sente soprattutto a rimbalzo dove ha tempismo, senso della posizione e soprattutto contesta anche quelli che non dovrebbero essere suoi. Ottime anche le doti di passatore, rare per un’ala della sua altezza, controllo del corpo e lettura del gioco, segno di un elevato quoziente intellettivo per questo giochino. Sa riconoscere i momenti della partita in cui attaccare e quelli in cui può defilarsi e come può apportare il proprio contributo alla squadra a seconda delle serate. Altro ragazzo con la testa sulle spalle che sa stare al proprio posto nella squadra, ma dotato di un’evidente durezza mentale. Un altro vincente in evidente ascesa.
  • Ala Grande: Pau Gasol (Los Angeles Lakers). Senza dubbio la stella della squadra. Ad oggi probabilmente il miglior lungo sulla piazza e sicuramente tra i primi 15 giocatori Nba. Dai tempi di Memphis è migliorato tantissimo, maturando sotto il punto di vista tecnico e mentale. In attacco è un vero rebus per le difese, disponendo di un bagaglio tecnico enorme e avendo la grande capacità di leggere cosa gli propone la difesa adeguandosi di conseguenza. Pregevolissimo tiro dai 4-5 metri, ormai diventato quasi una sentenza, elegante nei movimenti. Se invece si trova in post basso il più delle volte bisogna solo sperare che sbagli, anche grazie ad un ambidestrismo quasi imbarazzante. Grandi doti di passatore, specie negli scambi con l’altro lungo, a tratti nelle partite dei Lakers è lui l’effettivo playmaker offensivo assieme ad Odom. Se Bryant a volte lo vorrebbe più Black Swan, più cattivo, è comunque da sottolineare come la sua morbidezza nel giocare sia solo presunta. Molto efficace anche in difesa dove nonostante una non nascosta pigrizia di fondo quando si applica oscura completamente la vallata sotto canestro, disponendo di velocità di piedi e braccia lunghe che rendono difficilissima la vita all’attaccante nel pitturato. Polipo a rimbalzo, anche offensivo.
  • Centro: Omer Asik (Chicago Bulls). Non ha giocato molto quest’anno, essendo ancora un rookie, giocando in una squadra di vertice ed avendo una conoscenza dell’inglese paragonabile a quella di molti italiani per il congiuntivo: deficitaria. Se però nonostante questo riesci a far girare parecchie teste e ricevi i complimenti pubblici di tutti i tuoi compagni di squadra che ti gradiscono e non poco, vuol dire che qualcosa si è intravisto, e luccica. Il turco in effetti è lungo, ma lungo per davvero, e sotto canestro occupa un sacco di spazio, dote a cui aggiunge un egregio tempismo per la stoppata che quantomeno rende sconsigliabile avventurarsi là sotto. Grazie agli insegnamenti di coach Thibodeau ha imparato molte nozioni sulla difesa, dimostrando una buona velocità di piedi per la stazza e la qualità per poter diventare un fattore che sposta anche ad alti livelli, un domani. In attacco siamo ancora ai primi passi ma non ti danneggia, nel senso che non possiede ancora un tiro suo cui possa affidarsi ma ha senso della posizione e si fa trovare pronto sugli scarichi che conclude preferibilmente con l’affondata bimane.

Questo è il mio quintetto. Ho pensato di crearlo il più bilanciato possibile, guardando ad entrambe le metà campo, anzi forse privilegiando quella difensiva. Con questi giocatori avventurarsi sotto canestro potrebbe rivelarsi impresa ardua, considerata la foresta di braccia e la quantità di spazio che possono occupare. Per questo ho rinunciato a calibri come Nowitzki, Turkoglu o il nostro Bargnani. Ho poi preferito sceglierne uno per nazione, evitando così di presentare l’accoppiata Pau e Marc Gasol sotto le plance che sarebbe stata davvero forte. Si tratta infine di giocatori poco inclini ad essere prime donne ma molto votati a voler sempre vincere. Messi in mano ad uno capace di farli giocare assieme, un Obradovic per citare forse il miglior allenatore europeo, se ne potrebbero vedere delle belle.

 
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Pubblicato da su 6 aprile 2011 in NBA

 

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Bad Boys

No, non stiamo parlando del secondo duo di poliziotti del cinema più famoso di Miami (non ce ne vogliano gli spassosi Martin Lawrence e Will Smith ma Rico Tubbs e Sonny Crockett restano icone inarrivabili così come il loro look). Quando nel mondo Nba circola questo nome il riferimento è per i Detroit Pistons a cavallo tra i favolosi anni ’80 e i ’90, quelli guidati da Isiah Thomas e popolati da una serie di personaggi poco raccomandabili, da Rick Mahorn al centrone bianco Bill Laimbeer passando per la prima edizione di Dennis Rodman in cui i segni di squilibrio erano ancora contenuti. Quel gruppo di giocatori aveva sì un gran talento (oltre a Thomas basta citare Joe Dumars o Vinnie Johnson) ma divenne famoso per il suo modo di giocare fisico, duro e sporco. Ma i ragazzacci in questione non sono nemmeno loro. Più in generale si fa riferimento a tutti quei giocatori del mondo Nba che per un motivo o per l’altro (o pure per entrambi) sono saliti agli onori delle cronache: giudiziarie, non sportive. La lista è lunga, lunghissima, ben pasciuta ed in costante aggiornamento anche perché la gamma di reati tra cui pescare assume una vastità preoccupante. Noi che in Italia ci scandalizziamo, forse anche a ragione, per le marachelle di teste calde come Cassano o Balotelli, paragonandoli ai colleghi di oltreoceano riterremmo opportuno tenerceli. Gli Stati Uniti sono uno stato con un tasso di violenza superiore alla vecchia Europa e ciò si riflette anche nelle gesta degli atleti. Volendo indicare una squadra che ha fatto da punta di diamante, in negativo s’intende, la scelta è semplice e premia i Portland Trail Blazers, che sul finire del secolo scorso vennero ribattezzati Jail Blazers tanti erano i problemi con la legge dei suoi giocatori. Non a caso la dirigenza smantellò pezzo per pezzo una squadra che a livello di talento era pure ben impostata, per rimetterne in sesto la reputazione. Il vizietto più comune era il possesso illegale di marijuana, che negli anni ha trovato diversi adepti praticamente un po’ ovunque (lista abbreviata: Chris Andersen, Carmelo Anthony, Jason Williams, Shawne Williams, Michael Beasley e via dicendo..), tanto che sei giocatori furono arrestati in momenti diversi per lo stesso reato. Ma era solo la punta dell’iceberg: Bonzi Wells fu squalificato per un gesto osceno ad uno spettatore dopo una sconfitta interna, l’ineffabile Rasheed Wallace sospeso sette gare per aver aspettato fuori dal palazzo un arbitro per ridiscutere le incomprensioni avute in campo, Ruben Patterson e Zach Randolph sospesi per essersi scazzottati in allenamento. Lo stesso Patterson fu arrestato in seguito per aver violentato la babysitter. Con la moglie presente in casa. Randolph invece pensò bene di venir coinvolto in una sparatoria all’uscita di un night club nell’Indiana. Non è finita. Il gioiellino resta Qyntel Woods, transitato per una decina di partite anche in Italia a Bologna, che oltre ad essere uno dei sei di cui sopra fu citato per guida senza assicurazione e con la patente scaduta ed arrestato in seguito per coinvolgimento in lotte clandestine tra cani. Niente da aggiungere, se non che sono in buona compagnia. Il fatto più sconcertante riguarda probabilmente Kirk Snyder, scelto dai Jazz ma visto anche in Cina, che nel 2009 fece irruzione in casa dei vicini di notte rompendo la finestra ed aggredendo un uomo a cui ruppe la mandibola. Ovviamente per lui fu richiesta una valutazione psichiatrica. Sempre in casa Jazz nel suo anno da matricola Deron Williams, carattere non facile, fu coinvolto in una rissa fuori da un locale assieme all’altro rookie Robert Whaley. I due per non trovarsi inguaiati ebbero le geniale idea di dichiarare false generalità alla polizia, che non ebbe molte difficoltà a smascherarli; Whaley mentì anche alla squadra, dichiarando di essersi tagliato la mano in un incidente domestico. Incidenti domestici sono occorsi a ripetizione in casa Kidd, accusato dalla moglie di essere un violento ed averla picchiata diverse volte anche in presenza dei figli, oltre ad aver intrattenuto svariate relazioni extraconiugali con giornaliste televisive e spogliarelliste. Storia di playmaker e spogliarellisti è anche quella ambientata a Toronto, dove nel 2003 Sam Cassell, Gary Payton e Jason Caffey, all’epoca militanti nei Bucks, furono arrestati dalla polizia canadese per aver assalito due uomini e due donne fuori da un locale. Gli assaliti, neanche a dirlo, erano tutti strippers. Pure gli uomini. Si potrebbe proseguire parlando di Ron Artest, ma forse sarebbe troppo facile. Il cattivo per eccellenza che scatenò la mega rissa tra pubblico e giocatori  al palazzo di Auburn Hills a Detroit nel 2004 già si era fatto notare al suo ingresso nella lega, quando al camp orientativo per le matricole, quello dove viene spiegato ai ragazzi come comportarsi in campo ma soprattutto fuori, era risultato assente perché impegnato in attività ludiche con una signorina. Esattamente quello che l’Nba cercava di evitare.. Nella vita privata anche per lui si registrano violenze sugli animali e domestiche. Niente a confronto di quelle avvenute in casa Christie, dove però il vero artefice delle turbolenze non era Doug, arcigna guardia dei Kings, bensì sua moglie Jackie, che durante una lite arrivò al punto di bruciare l’auto del marito. La gelosissima Jackie però vide iniziare la sua leggenda quando durane una rissa tra il marito e Rick Fox dei Lakers si buttò nella mischia prendendo a borsettate l’ala angelina. Chiudiamo il primo capitolo della lista con Delonte West: nel 2009 l’attuale playmaker di riserva dei Celtics, che allora giocava nei Cavs, dopo essersi reso protagonista di voci che lo volevano implicato in una relazione con la madre di LeBron James(con conseguente discreta incazzatura del figliolo) fu arrestato dalla polizia che fermandolo in moto per eccesso di velocità lo trovò in possesso di un mini arsenale, tra cui un fucile a pompa nascosto in una custodia per chitarra. Problema aggravato dal fatto che Delonte soffre e soffriva di bipolarismo, dunque era sottoposto a frequenti sbalzi di umore che sfociano nella depressione e da questo si stava curando. Certo le armi non sembravano il modo migliore. Di vicende come queste ce ne sono a centinaia. Forse però dovendo additarne una, condita dagli aneddoti più incredibili, la scelta ricadrebbe su un personaggio di culto, uno che il talento aveva portato ad esser scelto nel draft del 1999 ma che la testa condusse da tutt’altra parte. L’uomo in questione è Leon Smith, ma questa è un’altra storia..

 
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Pubblicato da su 5 aprile 2011 in NBA

 

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Passi Falsi

C’era una volta un mondo dove si restava quattro anni al college imparando i fondamentali prima di passare professionisti, dove i giocatori erano grossi la metà di quelli attuali e veleggiavano avanti e indietro dal parquet ad una velocità di crociera senza l’impressione di essere un branco di levrieri sciolti. Quello era un mondo dove la base tecnica in possesso dei giocatori era elevata e soprattutto sfruttata ai fini del gioco più della componente atletica, dove più che vigere certe regole c’era un regolamento e veniva applicato. Si guarda una manciata di partite prese a caso dall’attuale stagione Nba, o anche alcune dal torneo Ncaa che stanotte vedrà recitare l’ultimo atto nel galà che assegnerà il titolo tra Connecticut e Butler, e si assiste a scene piuttosto imbarazzanti. A cosa mi riferisco? Ma ai passi, o meglio alle infrazioni di passi che non vengono volontariamente sanzionate, frase in cui l’avverbio riveste il ruolo di parola chiave. Come mai si è deciso di diventare così permissivi, fino al punto di stravolgere quello che è il regolamento ed in definitiva anche lo spirito del gioco? I fattori che entrano in gioco sono diversi. Prescindendo dal fatto che alcune ciclopiche infrazioni sono così evidenti da non essere scusabili con nessuna argomentazione plausibile, si sostiene che agli arbitri sia stato richiesto di diventare maggiormente tolleranti per non intaccare la fluidità del gioco spezzettandolo con chiamate prettamente tecniche che non aiutano lo spettacolo e levano il ritmo alla partita ad al palato dello spettatore. Di per sé si tratta di una tesi sposabile, anche se l’appunto da fare dietro l’angolo è che la regola si applica, non si interpreta. L’appunto acquista vigore se lasciando spazio al giudizio soggettivo si assiste a silenzi ridicoli da parte dei fischietti in presenza di sesquipedali camminate in mezzo all’area o in fase di ricezione. Posso essere d’accordo sul fatto di non essere necessariamente troppo rigidi, ma un’infrazione può essere concessa quando la stessa non produce un vantaggio diretto nel gioco a chi la commette. Esemplificando: se mi trovo 1 contro 0 in contropiede un passo in più per una migliore coordinazione e seguente affondo bimane a canestro posso accettarlo, così come si può soprassedere se dalla rimessa pasticcio un po’ col pallone o col palleggio. Ma se in un’area trafficata mi si concede un passo in più questo fa tutta la differenza del mondo, se faccio passi di partenza buggerando il mio difensore diretto che con una buona difesa mi aveva negato un lato del campo ne ottengo un enorme vantaggio, se mi si consente di saltellare allegramente sotto canestro facendomi spazio tra una foresta di braccia mi si facilita il compito, così come quando riesco a districarmi da situazioni complicate perché ci metto un ulteriore zompo, che nel caso dei professionisti può anche essere bello lunghetto. Oltretutto il vantaggio per l’attacco corrisponde ad un’evidente penalizzazione per la difesa, che al contrario lo spirito del gioco tenderebbe a voler premiare in quanto ha meglio interpretato la situazione tecnica che le veniva proposta. Che questo sia l’andazzo nell’Nba è assodato e mi sembra pericoloso, ma ancora più grave è riscontrare gli stessi atteggiamenti a livello collegiale, perché se questa tendenza prende piede anche tra i più giovani allora il difetto diventa difficilmente recuperabile. Questo porta a catena un indebolimento della parte tecnica del gioco sovrastata da quella atletica e della pura forza fisica. Si vedono sempre più schiacciate e sempre meno movimenti in post insomma, che per uno spettatore medio può anche suonare bene ma che i puristi del gioco avvertono sempre con un certo dispiacere. Da puntualizzare poi che i giocatori, o almeno la loro stragrande maggioranza, compiono di proposito quello che ormai è stato ribattezzato come quarto tempo (se non quinto in alcuni casi) perché sanno che viene loro concesso. Non ho dubbi che i vari Wade, James, Stoudamire e soci, per dirne tre che sono top class player e al contempo usufruiscono e non poco degli occhi chiusi da parte degli arbitri, saprebbero benissimo adeguarsi ad una interpretazione più consona del regolamento, perché non inganni il loro debordante atletismo, quando uno è forte ha pure in faretra un solido bagaglio di fondamentali, magari pure ai livelli del leggendario Bird. Serve poi anche un metro di giudizio costante, che non scombussoli troppo le carte in tavola. Non si possono vedere partite in cui viene consentito di tutto e di più e poi improvvisamente veder sanzionate un paio di infrazioni, giusto per dimostrare che quando si vuole le cose le vediamo pure noi. Un giocatore che vede lo stesso movimento consentito per dieci azioni filate e poi se lo trova fischiato contro si domanda legittimamente: ma chi sono io il gioppino della situazione? Uniformità di giudizio poi va trovata non solo all’interno della singola partita, ma anche fra campionati: non è possibile che tra la Nba e la Fiba ci siano punti di vista così differenti in merito all’applicazione dei regolamenti. Su questo tema mi sento di appoggiare l’Europa dove si è ancora più rigorosi, ma indubbiamente il campionato di riferimento, quello dove compete il gotha mondiale è quello oltreoceano. E nel caso che una giocata del genere sia quella decisiva che deve risolvere la gara, come ci si comporta? Io ricordo un canestro di LeBron James durante un primo turno di playoffs contro Washington che sancì la vittoria di Cleveland arrivato dopo un’allegra camminata sulla riga di fondo. Certo il canestro era stato davvero bello, certo quella serie i Cavs l’avrebbero portata comunque a casa, però resta il fatto che se i Wizards si sentirono defraudati le loro ragioni belle sostanziose le avevano, ma secondo me ancor più da recriminare l’avrebbe il gioco stesso, che da episodi del genere a mio modesto avviso viene tradito.

 
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Pubblicato da su 4 aprile 2011 in Basket, NBA

 

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Il Marketing NBA

Ottobre 2010, una nuova stagione NBA è alle porte e su internet inizia a circolare un promo fantastico per lanciarla, realizzato da ESPN magazine, dove ogni squadra è stata disegnata a mo’ di fumetto della Marvel. Trenta copertine, alcune originalissime come quelle pensate per Portland, Detroit, Houston o i Lakers, ma comunque tutte di altissima fattura. Gli artisti che han confezionato le copertine son tutti stipendiati dalla Disney: sapendo che l’azienda di Dumbo possiede sia la rete ESPN che la Marvel il cerchio si chiude con una certa facilità. Questo è solo l’ultimo esempio di una cosa in cui i capi che siedono negli uffici NBA di New York sono pressoché imbattibili, e almeno per ora irraggiungibili da qualsiasi altra lega professionistica sportiva, statunitense o meno: il marketing. Non intendo parlare della parte legata agli introiti pubblicitari, al fatturato delle varie squadra o del prodotto NBA nella sua globalità, quello che negli anni mi ha sempre affascinato di questo mondo è la sua inesauribile capacità di innovarsi, di precorrere i tempi, di essere sempre un passo avanti rispetto agli altri nel modo di pubblicizzare il proprio marchio ed i propri giocatori di punta, che diventano le vere star del sistema e come tali sono trattate e viste anche dal grande pubblico: basti pensare a come vengono introdotti i quintetti durante gli All-Star Game, roba della miglior Hollywood, dove tra l’altro lo scorso febbraio Kobe Bryant è stato il primo cestista di sempre ad avere l’onore di essere introdotto nella Walk of Fame. Non si tratta più di semplici atleti dunque, ma di stelle. Per lo stesso Kobe si è scomodato anche Robert Rodriguez, regista di grido degli ultimi anni, che sul 5 volte campione NBA ha diretto un cortometraggio esplosivo chiamandolo “Black Mamba”, in cui figura la partecipazione di Bruce Willis e Kayne West. Stelle, appunto. Stelle che vengono promosse in tutti gli ambiti ed a tutti i livelli: il motto della NBA è “Think Global, Act local” quindi l’obiettivo è quello di espandersi sempre il più possibile, di penetrare in nuovi mercati, di far conoscere innanzitutto il proprio nome, il proprio logo, quell’esile sagoma di Jerry West col suo stile elegante, i propri giocatori, preferibilmente se sono cittadini modello ed hanno anche una faccia pulita che ben si presta a finire sotto la lente delle telecamere. Non a caso la Lega spinge e non poco nel pubblicizzare le iniziative benefiche nei confronti delle comunità locali e non da parte degli atleti attraverso il programma NBA Cares. Atleti che dalla loro hanno partnership e sono testimonial di tutte le più grandi marche legate al mondo dello sport, partendo dalle calzature per finire alle bevande energetiche o ai canali sportivi televisivi. Quel che risalta all’occhio dello spettatore però non è solo il volto noto, ma anche l’originalità, la simpatia, la fantasia che vengono utilizzate nella realizzazione degli spot dove i giocatori sono divertiti attori e complici. Un giocatore moderno insomma deve saper essere atleta a tutto tondo, capace di sommare le abilità sportive a quelle nelle pubbliche relazioni: LeBron James da questo punto di vista è un vero asso, sembra che tutto gli esca con estrema naturalezza, che si diverta per davvero, ed in scia ne ha tanti altri; non è un mistero che sia Baron Davis che Steve Nash han delle proprie case di produzione e di distribuzione, e nel loro tempo libero si divertano a realizzare alcuni cortometraggi piuttosto fantasiosi coinvolgendo compagni più o meno entusiasti. Youtube è colmo di questo tipo di filmati, basta digitare uno di questi nomi e di filmati ne compariranno a bizzeffe: per gli amanti dello sport consiglio vivamente quelli partoriti dalla diabolica mente del playmaker canadese, ma i nomi e gli spot degni di essere menzionati sono tanti, dal rifacimento del famoso spot McDonald col duello dei tiri impossibili Bird-Jordan riproposto in chiave moderna dal duo Howard-LeBron, ad una spassosa parodia cavalleresca ideata dalla Gatorade con protagonista Garnett e altri campioni dello sport oltreoceano (Bolt,Derek Jeter,Alicia Sacramone,..) o alla particolare sfida scaturita al parco tra Paul Pierce e Baron Davis per promuovere NBA tv, fermo restando che lassù intoccabile e a vette siderali rimane lui, Shaq, uno degli sportivi più divertenti di sempre sia nelle pubblicità che nei filmati frutto del suo incontrollabile spirito fanciullesco e goliardico, anche se il suo pezzo forte son sempre state le battute, le improvvisazioni sul parquet e coi giornalisti. Mille e più storie su di lui, un osso davvero duro da scavalcare. Ancora ho negli occhi la sua introduzione all’ultimo All-Star Game cui partecipò, nel 2009 a Phoenix dove allora era anche accasato: lui e la sua mole che escono con la mascherina al volto così come i suoi compagni, il gruppo di ballo dei Jabbawockeez, con cui inscena un siparietto favoloso. Solo nella NBA viene da dire, ed in effetti non ci sono paragoni nel saper vendersi al pubblico. Spettacolo nello spettacolo, come lo furono i brevi filmati introduttivi ai playoffs del 2008, quelli contrassegnati dalla cavalcata vincente dei Boston Celtics.

Questo fu uno dei tanti proposti, uno per ogni sfida di playoffs. Io ne restai ammaliato perchè questo spot aveva tutto: l’idea, il pathos, la musica giusta, i volti dei protagonisti. Credo che anche i non appassionati lo abbiano apprezzato come suppongo apprezzino le trovate del mondo NBA per promuovere la sua creatura, anzi forse gli appassionati di altri sport si immaginerebbero che richiamo potrebbe avere la loro disciplina se queste idee fossero adottate anche nel loro contesto. Stelle tra le stelle insomma, come quando a bordo campo nelle arene di LA o New York i personaggi celebri si sprecano, anzi togliendo i pochi che ci sono per passione vera come Jack Nicholson o Spike Lee gli altri si recano a palazzo perchè è la mondanità, conta esserci perchè la vera attrattiva sono i Lakers e da quest’anno anche i redivivi Knicks. In definitiva basta sedersi davanti ad uno schermo e godersi lo spettacolo in attesa delle nuove trovate.

 
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Pubblicato da su 10 marzo 2011 in NBA

 

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Mercato NBA: nuova tendenza?

 É passata una settimana dalla deadline, il termine ultimo per le operazioni di mercato nell’Nba, e questa stagione dopo la bollente estate ha vissuto anche un inverno turbolento, con molti movimenti ed un paio di cambiamenti di casacca rumorosi concentrati nell’Atlantic division. Ma più che analizzare gli scambi in sé, operazione divertente ed allo stesso tempo piuttosto azzardata se compiuta a caldo, quel che sembra emergere é una nuova tendenza negli spostamenti e nella creazione delle squadre. Cercare di dare una risposta a questo quesito potrebbe essere la parte più interessante della vicenda. Melo che si accasa nella Grande Mela portandosi appresso Billups e qualche contratto in scadenza in cambio praticamente di mezza squadra Knicks; Deron Williams che abbandona la soporifera Salt Lake City trasferendosi nel trafficato New Jersey la cui franchigia é prossima alla dislocazione in quel di Brooklyn. Due giocatori di indubbio peso ed impatto che vengono spostati a stagione in corso, anche se probabilmente per ragioni differenti. Operazioni che potrebbero inserirsi in un disegno molto più ampio, iniziato coi fuochi d’artificio estivi e lungi dall’esser esaurito viste le situazioni contrattuali di diversi big per il prossimo anno. Sia Chris Paul che Dwight Howard infatti han già ventilato la possibilità di esplorare il mercato per vedere cosa gli si potrebbe prospettare lasciando la loro attuale sistemazione, eventualità che farebbe e ha già fatto aumentare non poco le palpitazioni in quel di New Orleans ed Orlando. Situazione in continua metamorfosi dunque, che se analizzata porta alla luce alcuni elementi: i giocatori più talentuosi o quantomeno che hanno più status tendono a raggrupparsi tra loro, e tendono a farlo in squadre che hanno risalto mediatico, non necessariamente in quelle con le maggiori possibilità di competere per l’anello. Ultimo esempio l’arrivo di Melo a New York su cui tanto si é vociferato ed alla fine é avvenuto per la gioia dei media della Grande Mela. Peccato che i rumors volevano l’ex Nuggets accasato ai cugini, i Nets come la proprietà di Denver avrebbe gradito, mentre il giocatore spingeva per i Knicks. Alla fine dove é finito? La tendenza che si prospetta mi sembra questa: una lega dove gli scambi e dunque il mercato sono sempre più nelle mani dei giocatori e dei loro agenti e sempre meno in quelle delle squadre, con ovvi cambiamenti nei rapporti e negli equilibri. A farne le spese maggiori salta subito all’occhio come dovrebbero essere le franchigie appartenenti ai mercati minori della NBA, le varie Milwaukee, Indiana, Charlotte, Salt Lake City o Sacramento per capirci. Non che ci sia qualcosa di male ad avere stelle che decidano di raggrumarsi attorno a tre quattro squadre cambiando gli equilibri della lega, ma il problema, che si stanno ponendo sia i vertici stessi della NBA che i proprietari è che l’intero sistema perda la sua potenziale competitività, la teorica possibilità per ogni squadra di poter lottare per il titolo ed avere una squadra vincente, che conseguentemente sancirebbe anche la perdita di attrattiva da parte dello stesso prodotto. Come ulteriore aggravante (o forse la vera questione su cui dibattere volendo gettare la maschera) ci sarebbe, aggiungo io, che le squadre competitive gira e rigira finirebbero coll’essere sempre le solite, ovvero quelle che garantiscono la maggiore esposizione mediatica o che hanno maggior status tra gli atleti per motivi climatici, di glamour o altro ancora, vale a dire le varie LA, New York, Miami, Chicago, Boston. Ma in questo caso le altre 25 che ci starebbero a fare, le sparring partner? Son tutte opzioni paventate ma che ancora non hanno espresso certezze soprattutto a causa dell’incombere della ridiscussione del contratto collettivo, dunque a catena del salary cap che potrebbe modificare drasticamente il modus operandi delle franchigie. Certo resta il fatto che attualmente alcune delle squadre di punta appartengano a mercati molto piccoli, vedasi San Antonio ed Oklahoma City , ma entrambe sono rimaste sulla cresta dell’onda per un decennio o promettono di farlo in futuro grazie a due componenti: la fortuna e la bravura della dirigenza. Nel caso dei Thunder la bravura è stata assemblare la squadra scegliendo in primis attraverso le scelte i pezzi giusti da affiancare alla stella, ragazzi che avessero caratteristiche tecniche e caratteriali adeguate, ma la fortuna, la grande fortuna è stata trovarsi Kevin Durant disponibile alla numero due solamente perché Portland aveva pensato bene di utilizzare la prima chiamata assoluta per il povero Greg Oden, centrone perennemente infortunato. E dire che i Blazers di scelte sbagliate eran stati protagonisti pure una ventina di anni addietro. Per quanto riguarda gli Spurs buona sorte ed abilità si mischiano: indubbiamente è un regalo degli dei avere una stagione disgraziata e beffare clamorosamente Boston che se possibile ne aveva avuta una peggiore vedendosi assegnare la pallina della scelta numero uno proprio nell’anno in cui da Wake Forest usciva Tim Duncan, come altrettanto vero è abilità sapersi muovere sul mercato dei free agent riuscendo a portare in città i giocatori adatti al sistema. Ma è anche vero che se si può ritenere bravura aver capito le potenzialità di Ginobili e Parker, c’è anche una buona dose di fortuna l’averli trovati ancora disponibili da scegliere alla fine del secondo giro come è successo per l’argentino o a quella del primo nel caso del franco-belga. Fortune che se non si ripeteranno potrebbero costringere una squadra come quella texana a vivere nell’oblio per chissà quante stagioni e senza grandi certezze riguardo una possibile rifioritura. Discorso diverso per gli Utah Jazz che non avranno vinto quattro titoli come gli Spurs ma in finale ci sono arrivati due volte alla fine degli anni novanta grazie al duo Stockton-Malone ed hanno avuto innumerevoli stagioni dal record positivo grazie al sistema adottato da coach Sloan, condottiero della squadra per ben 23 stagioni, altra anomalia che pare difficile potersi ripetere. Insomma situazioni rare, più episodiche che altro. Ma non è del tutto vero neppure questo. Certo in estate abbiamo assistito ad un ribaltamento della concezione classica di “come assemblare una squadra” con l’arrivo di James e Bosh a Miami, una decisione presa dai giocatori che sostanzialmente si son detti “noi decidiamo di giocare assieme, noi creiamo la squadra e noi vinciamo in pratica da soli allestendo un supporting cast alla belle meglio”, in un certo senso scavalcando il ruolo del general manager e della dirigenza. La tendenza potrebbe diventare questa. Potrebbe, ma comunque non significa che risulti poi quella vincente. O se anche fosse, comunque non l’unica via percorribile. Avessero ragionato in questo modo i Detroit Pistons non avrebbero formato la squadra equilibrata che han saputo allestire e non avrebbero disputato due finali portandosi a casa un titolo e restando protagonisti ai vertici per diverse stagioni. Lo stesso dicasi per altre squadre nel recente passato, come i Magic o i Mavericks. Spazio per la creatività dei general manager e le loro capacità valutative, oltre che all’abilità nel destreggiarsi col salary cap, sembra esserci ancora. Per quanto riguarda il futuro prima di pronunciarsi con certezza bisognerà conoscere le nuove regole con cui si giocherà. Quello che vuole essere un augurio è che il giocattolo non venga rotto, che continui a produrre alternanza al potere e teoriche uguali chances per tutti, quelle che comunque la si voglia vedere han portato 7 squadre a vincere il titolo negli ultimi vent’anni ma soprattutto 18 formazioni su 30 a disputare le finals. Un bel biglietto da visita.

 
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Pubblicato da su 8 marzo 2011 in NBA

 

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