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Nba Playoffs – Analisi primo turno

Come, a ritroso nel tempo, prima l’analisi sulle semifinali di conference ed ora una retrospettiva su quel che è stato il primo turno? Ebbene sì, perché se è vero che col senno di poi son tutti bravi a riempirsi la bocca di bei discorsi, io le mie previsioni le ho fatte prendendoci in alcuni casi e toppando alla grande in altri, dunque torno su quelli che sono i stati i miei errori per vedere cosa ha funzionato diversamente. Serie per serie:

  • Chicago Bulls – Indiana Pacers 4-1: giù il cappello per Indiana e coach Vogel, che la serie l’ha allenata e ha dato una partita ai migliori dell’Est praticamente in ogni occasione, uscendone con una sola vittoria ma in realtà arrivando sulla linea del traguardo in almeno due partite. Ottime le prove di Hibbert, Granger, in singoli episodi bene anche Collison e Hansbrough che non hanno fornito continuità ma inizialmente han fatto il botto. Bravi loro e pure gli altri, che han saputo giocare come una squadra trovando contributo da tutti. Alla fine l’han spuntata i Bulls che in difesa han saputo asfissiarli nei minuti finali, suonando la carica sempre nell’ultimo quarto, giochino rischioso perché non è sempre detto che riesca, vedi gara 4 che i Pacers stavano per gettare dalla finestra con due minuti di isterismo collettivo. Rose non ha tirato benissimo però ha fatto quel che ci si aspettava, la differenza. MVP: Derrick Rose
  • Orlando Magic – Atlanta Hawks 2-4: avevo detto che avrebbe pesato il rendimento del turco; vero perché ha fatto schifo, ed in generale sul banco degli imputati tutti gli esterni, mai continui, mai veramente incisivi se non per sfuriate sporadiche. Ha pagato la tattica Hawks, lasciare Howard in single coverage: il centro dei Magic ha avuto cifre mostruose (27 punti,15.5 rimbalzi e 63% dal campo) ma i tiratori sul perimetro son stati messi in naftalina con percentuali molto basse e non han saputo trovare alternative. Di contro quel famoso talento dei singoli ha portato Atlanta a passare il turno, grazie ad uno dei soliti tiri vincenti alla Crawford che ha chiuso gara 4, alla presenza di Hinrich che a differenza di Bibby difende mettendo pressione sulla palla e ritardando l’entrata nei giochi, all’indubbia pericolosità che hanno nei finali punto a punto. Lo stesso Crawford ha giocato una serie di un certo livello, con nessun esterno che riusciva a seguirne le tracce. Per me sono ancora un punto interrogativo però sembrano tosti. MVP: Jamal Crawford
  • Boston Celtics – New York Knicks 4-0: l’unico sweep è stato riservato ai Knicks, che sono andati vicinissimi a vincere gara 1 ma una volta persa per due grandi esecuzioni dei Celtics han dovuto soccombere anche di fronte alla sfiga, che gli ha privati di Billups e reso Stoudamire a mezzo servizio. Croce sopra. Anthony ha provato ad ergersi salvatore della patria, ma a parte grandi realizzazioni non è riuscito a fare molto, Boston ha sostanzialmente controllato la serie proprio in cabina di regia dove Rondo è stato sole e luna, gestendo i ritmi e anche attaccando come gli si chiederebbe. Il resto è andato via piuttosto liscio, il che ha detto poco sulla reale condizione dei biancoverdi, che non si è capito se giocassero con le marce o meno. MVP: Rajon Rondo
  • Miami Heat – Philadelphia 76ers 4-1: l’unica che ho preso anche nel punteggio, i 76ers han giocato bene, come potevano, Collins ha cercato di allenarla il più possibile ma probabilmente di più non poteva ottenere dai suoi, contando che i cosiddetti big, Igoudala e Brand, non han reso secondo aspettative. Un po’ inconsistenti sotto canestro per arginare le penetrazioni, che bene o male è quel che devi fare contro Miami, va dato merito di aver retto anche in condizioni critiche, provando comunque a giocarsela finché le percentuali lo consentivano. L’unica vittoria è arrivata grazie ad un gran finale di Holiday e Williams, il primo soprattutto da tenere d’occhio anche per il futuro. Bravo anche il rookie Turner che nonostante alcune imbarazzanti figure ha saputo lo stesso reagire sfornando un paio di discrete prove. Che dire degli Heat: secondo me continuano a giocare davvero male in attacco, un antibasket nel senso puro dello spirito del gioco, anche se dietro invece sanno diventare ermetici, eppure vincono. MVP: Dwyane Wade
  • San Antonio Spurs – Memphis Grizzlies 2-4: sorpresona pronosticata solo da Barkley, giù il cappello. Il gomito malandrino dell’argentino ha inciso tantissimo, soprattutto nella gara 1 persa in cui lui mancava. Nonostante ciò ha saputo regalare comunque perle come il buzzer beater da metà campo o il canestro impossibile del pareggio in gara 5. Avevo detto che gli Spurs non sarebbero andati via lisci, verissimo: andiamo con ordine. Duncan aveva benzina nel serbatoio? No. Per il duello Parker/Conley barrare C, nel senso che ha vinto il play di Memphis mentre Tony ha tirato male con brutte scelte tranne in rari momenti. Impatto panchine? Spurs non pervenuta se si pensa che il meglio l’han mostrato Splitter e Neal,i due nuovi. A proposito di Neal, ovviamente ha messo il tiro dell’assurda gara 5. Che Jefferson vedremo? Perché, qualcuno l’ha visto? Detto questo, complimentissimi a Memphis, che ha fatto davvero bene sia per gioco che per mentalità. Grandi ondate dalla panchina, ottima con il volpone Battier, Mayo e le sorprese (almeno per me a questi livelli) Vasquez e Arthur. Tony Allen magnifico, un flipper, quanto lo stiano rimpiangendo a Boston solo loro lo sanno, Sam Young vero jolly spariglia carte (alzi la mano chi lo sospettava così incisivo), Gasol ultra solido ma Z-bo mattatore saltando zero e giocando solo di mancino. Adesso non si può più ignorarlo. MVP: Zach Randolph
  • Oklahoma City Thunder – Denver Nuggets 4-1: in gara 5 è nata la leggenda di uno che era già stella. Durant fa davvero impressione. Denver la serie se l’è giocata tranne in gara 2, il non avere un giocatore di riferimento ha forse fatto si che i finali siano stati mal giocati, e contro una squadra che ha pochi concetti ma ben instillati, specie a chi dare la palla quando conta, diventa dura. Per i Nuggets bene Lawson e Gallinari, specie nel punto vinto, Nenè, a sprazzi Martin e Felton, Afflalo che però non le ha giocate tutte. Nessuno comunque è stato sempre continuo. Dalla sponda opposta solito duo in testa, con Westbrook che però farebbe meglio a selezionare con più cura i tiri, ha spostato e non poco Ibaka, che in attacco migliora quasi a vista d’occhio e in difesa ha smollato 24 stoppate di cui 9 nella gara decisiva, 2 delle quali han invertito il trend pro-Denver prima del dominio di KD. Da sotto si faceva davvero fatica a tirare. Pronostico rispettato. MVP: Kevin Durant
  • Dallas Mavericks – Portland Trail Blazers 4-2: mm qui piccola delusione. Da Portland mi aspettavo di più, soprattutto la panchina ha tradito le aspettative anche se in generale la squadra si è mostrata ancora acerba. Fernandez un fantasmino, Batum ha pennellato qua e là senza finire un quadro, Roy ha illuso in gara 4 ma poi ha sostanzialmente quasi danneggiato. Aldridge molto bene ma si è vista la differenza nei finali con Nowitzki, di strada da fare ne ha ancora. Dallas ha risposto bene, da squadra navigata, sembra avere un Kidd ispirato anche al tiro, il solito efficace e determinante Terry, il solito tedesco, un inaspettato Peja in gara 2, quel che mi ha sorpreso è stata la gestione delle gare, in cui li credevo deficitari e che invece in sostanza han sempre saputo controllare, facendo sbollire i calori di Portland con alcune sfuriate, ma trovandosi sempre a contatto quando contava. Anche dopo essere stati raggiunti nella serie non si sono smontati, anzi han saputo chiudere. Da squadra di veterani quale sono. Continuo a sospettare che non basti per fare ulteriore strada, ma anche qui, pronto ad esser sconfessato. MVP: Dirk Nowitzki
  • Los Angeles Lakers – New Orleans Hornets 4-2: i numeri cinesi Paul li ha fatti davvero e di partite è riuscito a strapparne due, ma anche per lui la benzina non è eterna e negli ultimi due episodi si è visto. Considerato che i compagni sono stati abbastanza inconsistenti o quantomeno ondivaghi (salviamo Landry cuor di leone), il risultato ha del miracoloso. I Lakers probabilmente non si aspettavano tanti grattacapi da subito, ma il loro dominio fisico alla lunga si è fatto sentire e non poteva essere altrimenti, nonostante Gasol non abbia giocato sui suoi consueti livelli. Bynum è bastato ed avanzato, coadiuvato da Odom, Artest, la panchina che ha saputo spaccare gara 5. La notizia migliore è che Bryant non ha mai dovuto strafare, limitandosi a qualche messaggio dei suoi. Un plauso a coach Monty Williams che all’esordio ai playoffs non ha messo la testa sotto la sabbia contro il titano Jackson, ponendogli problemi nonostante la manifesta inferiorità. Bravo anche a Belinelli che ha incamerato esperienza ed almeno una gara di livello, la quinta, ha saputo esprimerla. MVP: Andrew Bynum
 
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Pubblicato da su 2 Maggio 2011 in NBA

 

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Premi Stagionali Nba: le mie candidature

Con i playoffs che premono alle porte, è ora di tirare le somme e dare i giudizi sulla stagione regolare che ci si appresta a lasciarsi alle spalle, ricca di spunti interessanti, cambiamenti e novità. Per quanto riguarda i riconoscimenti individuali, cui va dato il peso che meritano, ornamentale secondo me, ecco i miei nomi:

  • MVP : Derrick Rose (Chicago Bulls). Scelta acclamata a furor di popolo, non è ancora ufficiale ma probabilmente si tratta solo di formalità. Se per miglior giocatore si intende il migliore in assoluto io resto sempre col mamba che si aggira per Los Angeles, se però intendiamo il giocatore che più incide sulle sorti della sua squadra e più l’ha aiutata a migliorare allora il nome è quasi obbligatorio, ed è quello di questo ragazzo riservato e compassato, almeno all’apparenza. Terzo anno nella lega, crescita esponenziale, con intelligenza sta lavorando su tutti quelli che sono i suoi difetti. A livello di cifre è cresciuto in tutte, considerando poi che viene spesso raddoppiato acquistano valore maggiore. Diventato sicuro dalla lunetta sta costruendo un tiro dall’arco affidabile: se saprà diventare continuo, buonanotte perché un primo passo come il suo e la capacità di accelerare anche quando sembra già alla massima velocità, che di per sé è felina, non li possiede praticamente nessuno. L’anno scorso i Bulls hanno agganciato a fatica i playoffs, quest’anno partono con la prima moneta ad est e lo zampino del numero 1 si sente eccome. Si porta sulle spalle l’intero peso della squadra, c’è molta curiosità di vederlo nei playoffs ed in una serie lunga dove le difese proveranno ad adeguarsi.
  • Rookie dell’anno: Blake Griffin (Los Angeles Clippers). In questo caso ancor più che nell’altro concorrenza sbaragliata. Ad inizio stagione si prospettava un dualismo con John Wall, ma dopo poche settimane si è capito come non ci fosse gara. Blake finisce tutte le settimane negli highlights grazie alle sue spettacolari schiacciate, ma il suo gioco racconta anche altro. Cifre come le sue in ala grande al primo anno le collezionava solo Duncan, il che può voler dire tanto. Doppie doppie a raffica, punta tanto sulla prestanza fisica e atletica, dove è debordante, e almeno per vincere il premio basta e avanza. Per assurgere a stella però deve lavorare e parecchio sulla tecnica, cosa di cui è consapevole. Sta già acquisendo un tiro da fuori decente, da piazzato. Il materiale insomma è un po’ grezzo ma il talento su cui lavorare c’è tutto, e forse viste i numeri accumulati (oltre 22 punti e 12 rimbalzi) quello che sorprende di più è proprio il margine di miglioramento. Menzione anche per Landry Fields di New York, scelto alla 39 e rivelatosi cavallo da corsa purissimo da subito. Grande conoscenza del gioco (viene da Stanford) e animale da rimbalzo pur essendo una guardia.
  • Coach dell’anno: qui probabilmente la scelta cadrà su Tom Thibodeau dei Bulls, capace alla stagione d’esordio dopo anni di assistentato di raggiungere le 60 vittorie trasformando i Bulls in una potenza dell’est, ma la mia scelta romantica va su Doug Collins (Philadelhia 76ers). Riesumato dopo anni che non era capo allenatore, il vecchio Doug ha dimostrato che se si sa allenare non si perde mai la mano. Presa in mano una formazione ricca di talento ma giovane e con ruoli intasati dalla troppa concorrenza, ha saputo modellare una bella squadra, che ha creato diversi grattacapi anche ai migliori team della lega ed ha saputo riprendersi dopo un inizio traumatico, condizionato da un calendario piuttosto infausto. Dopo il 3-13 iniziale quest’anno Philadelhia va ai playoffs dopo averli mancati l’anno precedente e mal che vada finirà col 50% di vittorie, migliorando di 14 gare il record della stagione passata.
  • MIP: Nick Young (Washington Wizards). Ragazzo che sembrava poter esplodere due stagioni or sono ma aveva rallentato in quella passata, ha saputo migliorare praticamente in tutte le voci statistiche, dai punti, più che raddoppiati, passando per minuti giocati, rimbalzi, assist, percentuale dal campo, ma soprattutto è diventato il principale terminale offensivo della squadra. Una squadra piuttosto derelitta, che ha pensato di poter avere vari leader, da John Wall , dimostratosi ancora acerbo, passando per Arenas prima e Lewis o Howard poi. Per un motivo o per l’altro son tutti mancati all’appello e dunque il proscenio lo ha preso lui, prendendosi la responsabilità dei palloni importanti nei (rari) casi in cui i Wizards riuscivano a stare in partita. Sul podio anche Paul Millsap, planato in quintetto base dei Jazz ed ormai una certezza ma che già aveva dato prova di sostanza l’anno scorso, e Demar DeRozan, che ai Raptors ha avuto una crescita paragonabile nei numeri a quella di Young ma però è meno incisivo nei finali ed essendo davvero giovane rientra più in un normale discorso di crescita dalla stagione da rookie alla successiva più che in un’esplosione inaspettata dopo alcune stagioni.
  • 6° Uomo: Lamar Odom (Los Angeles Lakers). Semplicemente il miglior giocatore in assoluto che si alzi dalla panchina, dal mio punto di vista. Sulle sorti della loro squadra incidono tanto anche Jason Terry (che segna più di tutti) o Jamal Crawford, così come sono preziosi pure James Harden o Glen Davis e parliamo sempre di squadre di prima fascia. Lamar però non decide solo le sorti delle singole partite, ma pure quelle dei titoli. Ovvio, è un pigro di natura, ma quando inserisce la modalità finali Nba diventa un rebus ingestibile dagli avversari, dimostrando di essere capace di fare praticamente tutto sul parquet, usando solo l’adorata mancina per giunta. Conclude in penetrazione, pennella dalla media, sa colpire anche dall’arco, è sostanzialmente il play dei Lakers, gestisce la transizione, prende grappoli di rimbalzi, ha braccia lunghe per la difesa di squadra ed individuale, tanto che ai mondiali giocava centro. Capace di cambiare il volto ad una partita in una manciata di minuti.
  • Difensore dell’anno: Kenyon Martin (Denver Nuggets). Qui si può sindacare molto di più, anche perché già la stessa definizione di difensore andrebbe ben esplicata. Artest per esempio è un terrificante difensore individuale anche se non segue proprio le basi tecniche classiche, e come difensore di squadra invece spesso è pessimo perché si perde. Se uno molla stoppate a raffica non significa che sia un gran difensore. Martin, come anche Garnett, per me riassume il concetto di grande difensore: sa coordinare la difesa di squadra anche vocalmente, ruotare con tempi e spazi giusti, e quando si occupa del proprio uomo è intimidatorio. Sempre aggressivo, sempre incollato, grande tecnica nel difendere il post basso, ha una notevolissima velocità di piedi che gli consente di reggere sia contro i pari ruolo, ali e centri, sia contro una grande fetta dei piccoli, che riesce a contenere per due o tre palleggi in scivolamento. Cosa che pochissimi altri si possono permettere.
 
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Pubblicato da su 12 aprile 2011 in NBA

 

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