Adesso che si inizia a sentire il sapore degli scontri decisivi, delle sfide colme di fascino, che spingono le emozioni a fior di pelle, l’Italia ha già chiuso le valigie ed abbandonato la Lituania. Mestamente ci eravamo intrufolati al gran ballo degli Europei, attraverso ripescaggio dovuto all’allargamento a 24 partecipanti, mestamente salutiamo la compagnia, con un sola vittoria all’attivo e veramente poco altro. Un’uscita sommessa di cui credo pochi si siano accorti. La spedizione in terra baltica ha ragione di essere bollata come una disfatta? Onestamente non me la sento. Non perché sia stata fatta una buona figura, o stando alle parole di facciata di qualche giocatore “si esce a testa alta”; non me la sento semplicemente perché per parlare di disfatta le aspettative dovevano essere ragionevolmente alte: e lo erano, ma senza ragione. Confesso che per quanto mi riguarda speranze ne nutrivo ed ero possibilista, anzi da un punto di vista puramente teorico lo sono ancora, non venitemi a raccontare che la Germania sia una squadra che ci sovrasta tecnicamente ed atleticamente. Certo sono più grossi, hanno un giocatore che scava la differenza per davvero pur non essendo al 100%, per il resto i teutonici si sono mostrati molto più squadra di noi, coesi, consci del loro obiettivo, certi di cosa fare nel loro modo di giocare solido e quadrato. E soprattutto, han mostrato di avere palle nei momenti che contavano. Deluso quindi sì, ma sorpreso sfortunatamente non troppo e mi allaccio al termine sfortuna perché che questa squadra avesse grosse crepe che ne minassero la stabilità e l’affidabilità già lo sospettavo. Il primo approccio sbagliato, ed in questa campagna errori ne sono stati commessi molti, manco a dirlo è stato quello dei media, scimmie urlatrici ammaestrate con la vocazione del merlo nel riprendere frasi altrui e farle proprie, e soprattutto nel parlare in totale scioltezza di argomenti che non padroneggiano nemmeno vagamente. Questo non vale per tutti quanti, ovvio, ma le voci fuori dal coro appunto perché tali (e scomode) mai vengono ascoltate. Spazio quindi agli chic in doppiopetto, parti oliate di una macchina ottima per la propaganda ed i titoli ad effetto, molto meno per raccontare la realtà delle cose. In sintesi la nazionale si apprestava nell’impresa di guadagnarsi un pass per il pre-olimpico (e nelle ipotesi più ottimistiche e suggestive il pensiero veniva accantonato per puntare all’accesso diretto, ovvero primi due posti, come se la provvidenza esistesse per davvero): certo non sarebbe stata una passeggiata, ma il compito era agevolato seguendo la cometa che portava alla terra promessa guidati dai tre magi, i nostri super assi discesi nientemeno che dall’olimpo Nba a basket mostrare. Affresco totalmente caldeggiato dagli esponenti della Federazione, che non è mistero puntino enormemente sul ritorno d’immagine dato da Bargnani, Belinelli e Gallinari in un panorama italico decisamente sconfortante. Per questa distorsione operata da gente le cui conoscenza di basket si limitano al sapere che ci gioca gente alta ed il pallone è arancione e a malapena saprebbe citare 10 giocatori del nostro roster certo non sono colpevoli i tre ragazzotti in questione; sentendo qualche loro dichiarazione prima del torneo c’è comunque da chiedersi se l’ottimismo manifestato fosse di facciata o realmente credessero di potersela giocare con tutti. In entrambi i casi si sarebbero macchiati del peccato di offesa all’intelligenza: nel primo caso quella degli appassionati, nel secondo della loro. Non vorrei avessero sottovalutato il reale valore degli avversari (dietro alle solite frasette “il girone è impegnativo” o “tutte le squadre sono da rispettare”) e soprattutto il basket Fiba, dove avere stelle o presunte tali conta il giusto, ovvero è solo uno degli ingredienti per il successo. Mettendo assieme tre gocce nel deserto mica si arriva in finale. Non qui almeno. Questo spaccato europeo inoltre fa sorgere il legittimo dubbio: la pochezza dei compagni di squadra rende il trio americano molto più forte di quanto sia in realtà o gli altri sono talmente brocchi che nemmeno con tre giocatori del genere in squadra si riesce a combinare più di così? Entrambe le domande, a mio modo di vedere, contengono qualche verità ma sono viziate da errori di concetto. Oggi coach Michelini, la spalla tecnica del duo di telecronisti Rai, durante Germania-Spagna (sì, San Emeterio meriterebbe di giocare un po’ di più) osservava che estremizzando la diversità tra Nba ed Europa, si possa dire che nella prima l’1contro1 è la base da cui si crea il gioco, mentre nella seconda il movimento serve per facilitare l’1contro1. Un concetto che mi trova d’accordo e che durante le partite dell’Italia appariva chiarissimo, ponendosi naturalmente come un limite. Abbiamo assistito ad una valanga di isolamenti stile palla a X e pensaci tu, mentre tutti gli altri languivano nelle loro posizioni sul perimetro. I possessi importanti mai giocati con la sensazione di essere in controllo delle operazioni. I 100 minuti di utilizzo li han passati solo in 5, con gli altri staccati di varie lunghezze; oltretutto, questi han messo assieme la miseria di 44 punti in 7 (facciamo 6 essendo Renzi sempre stato seduto). Anche con le cifre stavolta si possono spiegare tante cose, e le percentuali di tiro pessime aiutano in questo senso. Ma più degli incontestabili limiti tecnici manifestati, quello preoccupante è stato l’atteggiamento mentale, quello su cui meno si può incidere o lavorare perché quando manca carattere rimediare è un’utopia. Contro Israele nell’ultima partita senza ormai valore si è sfiorata la figuraccia, e solo una cazziata di Pianigiani ha permesso di raddrizzare la baracca, senza togliersi il lusso di perdere in maniera davvero cretina. Classico esempio di braghe calate che fa imbufalire chi si sente legato alla maglia azzurra e la vorrebbe veder difesa in ogni occasione, si tratti anche solo di un torneo di birilli. Ed in questo caso sul banco degli imputati ci vanno tutti quanti, ma in modo particolare chi dovrebbe essere il leader della squadra ed invece ha proprio bucato l’approccio, dimostrando anche una notevole incapacità nel leggere le situazioni che si presentavano in campo (isolamenti, cattive letture, forzature, basse percentuali: nel basket tutto è collegato). Insomma, Belinelli ha disputato un pessimo europeo, Bargnani ha segnato molto come al solito ma dimostrato di non avere nerbo (o volete farmi passare la tripla contro Israele come tale?), Gallinari personalmente mi ha deluso, forse perché mi aspettavo molto più da lui, credendo (e ne resto convinto) che abbia molto più carattere degli altri due. In fondo ha solo 23 anni mi dico, e di 23enni che incidono in una squadra piuttosto scarsa non se ne trovano tantissimi. Quello da sperare è che tutti, lui in primis, prendano questa delusione come una sfida, uno stimolo a ripresentarsi in casacca azzurra per migliorare e dimostrare di non essere dei palle lesse ma giocatori alla Nowitzki, Parker, Gasol, ovvero grandissimi che cambiano davvero i destini cestistici della propria nazione.
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Il mio Quintetto Nba Europeo
Si tratta di un giochino in cui mi è sempre piaciuto cimentarmi, ovviamente fine a se stesso ma nondimeno divertente da portare avanti specie se in compagnia, in cui ognuno esprime la propria personale opinione, come giustamente ci ricorda con toni più coloriti il grande Clint Eastwood. Se dovessi creare una squadra di giocatori Nba composta esclusivamente da giocatori europei, su chi ricadrebbe la mia scelta? Chi farebbe parte del mio starting five? Beninteso, ad oggi la batteria di giocatori provenienti del vecchio continente è piuttosto nutrita, con oltre 20 nazioni rappresentate e nuovi talenti pronti ad essere lanciati, e dovendo creare una squadra di 12 elementi questa avrebbe legittime aspirazioni a competere per il titolo. Ma dovendo puntare solo su 5 giocatori, senza ammassare talento ma guardando ad un bilanciamento tra attacco e difesa, valutando anche un’eventuale amalgama che ovviamente non è possibile stabilire a priori, chi sarebbero i miei candidati? Procedo:
- Playmaker: Tony Parker (San Antonio Spurs). D’accordo si può considerare scelta facile. In realtà non è un vero play nel senso puro del termine, non vale un Chris Paul o uno Steve Nash nella gestione della squadra, del ritmo partita e soprattutto nel mettere in ritmo i compagni. Il francese è più il capostipite di una nuova generazione di point guard, meno passatori e più realizzatori, dotati di mirabolanti doti atletiche. Contrastato forse dal solo Ty Lawson, Parker è il giocatore più rapido nel percorrere il campo in direzione Nord-Sud, vantando incredibili accelerazioni che lo portano a concludere un numero di volte irreale nel pitturato per uno della sua stazza e della sua altezza. Conduce con vagonate di distanza la classifica dei punti realizzati nel pitturato da un piccolo, da cui arriva la maggior parte del suo fatturato. Col tempo però ha anche imparato a mettere un affidabile tiro da fuori, specie se piazzato. Non è un gran difensore in termini pratici e di continuità all’interno della partita, ma fisicamente nonostante le apparenze tiene botta con gente più grossa di lui, vedasi in post basso dove difficilmente va sotto. Inoltre è un vincente, cosa che non guasta mai.
- Guardia: Thabo Sefolosha (Oklahoma City Thunder). Non so con che criteri vengano scelti i componenti dei quintetti difensivi, ma questo dovrebbe sempre essere tra i candidati. Gioca in una realtà che da perdente si è trasformata in vincente con il passare del tempo, ed una parte del merito è anche sua. In attacco siamo ancora ai primi rudimenti, ma la sua abilità di tiratore dagli scarichi è sottovalutata come anche la grande intelligenza cestistica che aiuta sempre in entrambe le metà campo. Difensivamente ha pochi eguali, considerando che quasi ogni sera è deputato a prendere in consegna la stella avversaria, dato che nella sua posizione nell’Nba girano diversi satanassi. Lo fa sempre egregiamente aiutato da solidi fondamentali difensivi ed una notevole apertura di braccia. Lo svizzero inoltre è un uomo squadra, di quelli che si applicano sempre senza mai alzare la voce e lavorano al progetto comune stando al proprio posto. Ottima qualità.
- Ala Piccola: Danilo Gallinari (Denver Nuggets). In costante progresso e crescita, probabilmente anche in termini di centimetri. Eccellente tiratore dalla lunetta e dall’arco, che con un back-court non irresistibile sotto questo aspetto è essenziale per aprire la scatola. Esperto e smaliziato ben oltre la giovane età, sa stare benissimo in campo dove compie molte piccole cose per la squadra. Offensivamente ha diverse armi in faretra, non solo il tiro piazzato. Fa ancora un po’ fatica quando deve crearsi un tiro da solo, ma nei momenti decisivi delle partite ha dimostrato con diversi campanelli la sua presenza. In difesa si applica anche se non è un muro invalicabile, ma si sente soprattutto a rimbalzo dove ha tempismo, senso della posizione e soprattutto contesta anche quelli che non dovrebbero essere suoi. Ottime anche le doti di passatore, rare per un’ala della sua altezza, controllo del corpo e lettura del gioco, segno di un elevato quoziente intellettivo per questo giochino. Sa riconoscere i momenti della partita in cui attaccare e quelli in cui può defilarsi e come può apportare il proprio contributo alla squadra a seconda delle serate. Altro ragazzo con la testa sulle spalle che sa stare al proprio posto nella squadra, ma dotato di un’evidente durezza mentale. Un altro vincente in evidente ascesa.
- Ala Grande: Pau Gasol (Los Angeles Lakers). Senza dubbio la stella della squadra. Ad oggi probabilmente il miglior lungo sulla piazza e sicuramente tra i primi 15 giocatori Nba. Dai tempi di Memphis è migliorato tantissimo, maturando sotto il punto di vista tecnico e mentale. In attacco è un vero rebus per le difese, disponendo di un bagaglio tecnico enorme e avendo la grande capacità di leggere cosa gli propone la difesa adeguandosi di conseguenza. Pregevolissimo tiro dai 4-5 metri, ormai diventato quasi una sentenza, elegante nei movimenti. Se invece si trova in post basso il più delle volte bisogna solo sperare che sbagli, anche grazie ad un ambidestrismo quasi imbarazzante. Grandi doti di passatore, specie negli scambi con l’altro lungo, a tratti nelle partite dei Lakers è lui l’effettivo playmaker offensivo assieme ad Odom. Se Bryant a volte lo vorrebbe più Black Swan, più cattivo, è comunque da sottolineare come la sua morbidezza nel giocare sia solo presunta. Molto efficace anche in difesa dove nonostante una non nascosta pigrizia di fondo quando si applica oscura completamente la vallata sotto canestro, disponendo di velocità di piedi e braccia lunghe che rendono difficilissima la vita all’attaccante nel pitturato. Polipo a rimbalzo, anche offensivo.
- Centro: Omer Asik (Chicago Bulls). Non ha giocato molto quest’anno, essendo ancora un rookie, giocando in una squadra di vertice ed avendo una conoscenza dell’inglese paragonabile a quella di molti italiani per il congiuntivo: deficitaria. Se però nonostante questo riesci a far girare parecchie teste e ricevi i complimenti pubblici di tutti i tuoi compagni di squadra che ti gradiscono e non poco, vuol dire che qualcosa si è intravisto, e luccica. Il turco in effetti è lungo, ma lungo per davvero, e sotto canestro occupa un sacco di spazio, dote a cui aggiunge un egregio tempismo per la stoppata che quantomeno rende sconsigliabile avventurarsi là sotto. Grazie agli insegnamenti di coach Thibodeau ha imparato molte nozioni sulla difesa, dimostrando una buona velocità di piedi per la stazza e la qualità per poter diventare un fattore che sposta anche ad alti livelli, un domani. In attacco siamo ancora ai primi passi ma non ti danneggia, nel senso che non possiede ancora un tiro suo cui possa affidarsi ma ha senso della posizione e si fa trovare pronto sugli scarichi che conclude preferibilmente con l’affondata bimane.
Questo è il mio quintetto. Ho pensato di crearlo il più bilanciato possibile, guardando ad entrambe le metà campo, anzi forse privilegiando quella difensiva. Con questi giocatori avventurarsi sotto canestro potrebbe rivelarsi impresa ardua, considerata la foresta di braccia e la quantità di spazio che possono occupare. Per questo ho rinunciato a calibri come Nowitzki, Turkoglu o il nostro Bargnani. Ho poi preferito sceglierne uno per nazione, evitando così di presentare l’accoppiata Pau e Marc Gasol sotto le plance che sarebbe stata davvero forte. Si tratta infine di giocatori poco inclini ad essere prime donne ma molto votati a voler sempre vincere. Messi in mano ad uno capace di farli giocare assieme, un Obradovic per citare forse il miglior allenatore europeo, se ne potrebbero vedere delle belle.