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I Draft col senno di poi: 1997

L’altra sera mi son trovato a fare un giochino con un mio amico che mi aveva chiesto qualche previsione in vista del draft. Competenza che tra parentesi non mi appartiene affatto, perché seguo sì la Ncaa, anche se non in modo assiduo, ma non ho certo il polso di come gli scout Nba giudicano i ragazzi. Rifacendosi ai siti specializzati Anthony Davis è il nome da corsa in questo momento, ma le previsioni in questo terreno scosceso sono da sempre azzardate. Scartabellando diverse nidiate del passato infatti saltano all’occhio errori colossali. Lasciamo stare quelli clamorosi, come Jordan alla 3 (col numero uno fu sempre chiamato Olajuwon comunque) o negli ultimi anni Oden invece di Durant (e purtroppo per lei Portland è sempre di mezzo dalla parte scura della luna). Kobe Bryant alla 13? Vero, su quel gracile ragazzino che decideva di saltare il college si nutrivano molti dubbi, e quel draft vide alcuni ottimi giocatori come Iverson, Ray Allen, Marbury, Abdur-Rahim, Antoine Walker. Ma prima di lui vennero chiamati Fuller e Potapenko. Se non c’è stata notizia di suicidi bisogna ritenersi fortunati. Da qui l’idea di rivisitare alcuni draft passati, vecchi di almeno un decennio, e valutare quale sarebbe dovuto essere il vero ordine di chiamata, quantomeno i primi dieci nomi. Puro esercizio stilistico perché col senno di poi son bravi tutti, ma è stato lo stesso divertente vedere stravolte alcune annate.  Ne ho considerate sei, dal 1997 al 2002, l’epoca in cui più mi sono approcciato al basket stelle e strisce. Si inizia ovviamente con la più distante nel tempo, all’epoca del secondo three-peat di Jordan.

Sede: Charlotte Squadra College
1 Tim Duncan San Antonio Wake Forest
2 Keith Van Horn New Jersey Utah
3 Chauncey Billups Boston Colorado
4 Antonio Daniels Vancouver Bowling Green
5 Tony Battie Denver Texas Tech
6 Ron Mercer Boston Kentucky
7 Tim Thomas Philadelphia Villanova
8 Adonal Foyle Golden State Colgate
9 Tracy McGrady Toronto
10 Danny Fortson Denver Cincinnati
11 Olivier St.Jean (poi Abdul-Wahad) Sacramento San Jose   State
12 Austin Croshere Indiana Providence
13 Derek Anderson Cleveland Kentucky
14 Maurice Taylor Los Angeles Clippers Michigan
15 Kelvin Cato Portland Iowa State
16 Brevin Knight Cleveland Stanford
17 Johnny Taylor Orlando Tennessee-Chattanooga
18 Chris Anstey Dallas Australia
19 Scot Pollard Detroit Kansas
20 Paul Grant Minnesota Wisconsin
21 Anthony Parker Philadelphia Bradley
22 Ed Gray Atlanta California
23 Bobby Jackson Denver Minnesota
24 Rodrick Rhodes Houston Southern California
25 John Thomas New York Minnesota
26 Charles Smith Miami New Mexico
27 James Vaughn Utah Kansas
28 Kelvin Booth Chicago Maryland
29

Dal primo giro gli unici ignorati di un certo peso furono Stephen Jackson, il bandito, selezionato da Phoenix alla 43, ed in tono minore Anthony Johnson, una vita da riserva affidabile che Sacramento chiamò con la 40. Curiosità, con l’ultimo numero i Bulls scelsero Duenas, l’energumeno spagnolo che mai si avventurerà al di là dell’oceano. Che questo venga ricordato come l’anno di Duncan non è nemmeno in discussione, e già la sua scelta conferisce un discreto valore a questa nidiata, che eccelle nelle sue punte da podio ma si dimostra meno consistente nel proseguo dove rimane davvero pochino. Alla quattro troviamo Antonio Daniels per esempio, una carriera da comprimario tanto che solo un anno più tardi i Grizzlies, allora ancora a Vancouver, selezionarono Bibby. I lunghi rappresentano sempre l’incognita maggiore e l’errore di valutazione più pacchiano: se si intravede potenziale non si può soprassedere perché il lungo giusto cambia le sorti di una squadra, come ben insegna Duncan; ma come Tim sono rari e molti si rivelano solo un numero buttato: Battie, Foyle, Cato, Anstey, Grant, Booth solo per citare i più grossolani al primo giro. Fortson e Pollard almeno il loro l’hanno dato. Alla 21 i 76ers videro bene in Parker, ma non ebbero pazienza e lasciarono che il ragazzo migrasse in Europa dove pochi anni dopo ne divenne il miglior giocatore in assoluto alla guida del Maccabi. Dovessi stilare un nuovo ordine, sarebbe più o meno così:

  1. Tim Duncan: e non sto neanche a spiegarlo.
  2. Chauncey Billups: primi anni di carriera sballottato qua e là, uscirà alla distanza affermandosi come leader nei Pistons che vinceranno il titolo nel 2004.
  3. Tracy McGrady: forse il giocatore con più potenziale, ma molto meno incisivo e vincente dei primi due. Una fenomenale incompiuta che parere mio sarebbe stato micidiale come secondo violino, alla Pippen.
  4.  Stephen Jackson: nel bene e nel male un leader e uno con gli attributi quando conta.
  5. Keith Van Horn: schiacciato dalle enormi aspettative, una buona carriera accorciata dagli infortuni.
  6. Bobby Jackson: nei Kings di Webber era sesto uomo decisivo per cambiare il ritmo alla gara, uno che in squadra fa sempre comodo.
  7. Ron Mercer: come il compagno di college Anderson sotto il par ma buono, anche se solo per pochi anni dati i problemi fisici.
  8. Derek Anderson: vedi sopra.
  9. Tim Thomas: fugazzi, altro ottimo progetto sprecato dalla pigrizia e dalla bambagia procurata dal ricco contratto.
  10. Danny Fortson: un guerriero a rimbalzo e nel distribuire botte. L’intimidatore che fa comodo a diverse squadre, non a caso proveniente da Cincinnati.

Oltre a questi anche Mo Taylor, Croshere e Brevin Knight sono riusciti a costruirsi un’onesta carriera professionistica, mentre altri sono letteralmente scomparsi, come Johnny Taylor (transitato un anno anche a Milano) o John Thomas. Oltre a Duenas vennero chiamati altri europei: Milic alla 35, Drobnjak alla 49 e Digbeu subito dopo. La moda per il vecchio continente ancora doveva scoppiare, ma l’anno successivo…

 
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Pubblicato da su 13 marzo 2012 in NBA

 

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