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I Draft col senno di poi: 2002

Quello di dieci anni fa un momento rivoluzionario: non solo i liceali continuavano ad essere scelti e gli europei stavano esplodendo, per la prima volta nella storia un asiatico fu chiamato col numero uno. Anzi si potrebbe estendere il concetto perché Yao fu il primo non americano ad essere prima scelta assoluta. Un bell’enigma il cinese, un tronco dall’altezza imbarazzante ma anche un ragazzo che mai si era cimentato con un basket di alto livello, perché sarebbe un affronto considerare tale la lega cinese. Ma era impossibile non sceglierlo per primo, la speranza era che potesse cambiare i destini di una franchigia, forse dell’intera lega. Non fu proprio così, purtroppo la sua struttura fisica era soggetta ad infortuni e problemi di diverso tipo che ne limitarono l’efficienza, ma negli anni in cui fu sano Yao era senza dubbio un giocatore di primissimo livello. Un’intelligenza nello scegliere la cosa giusta da fare davvero rara, una tecnica che nessuno riuscì mai a spiegarsi dove aveva imparato. Anche la scelta numero 2 era bloccata, apparteneva a Jay Williams. Purtroppo anche questo giocatore dopo una sola stagione a Chicago fu vittima di un incidente in motocicletta che gli distrusse gamba e di fatto carriera. Oltretutto nel contratto coi Bulls gli era proibito di guidare la moto, troppo rischioso come fatalmente si rivelò. Come detto impazzava la moda degli europei e degli stranieri, tanto che molti venivano scelti in base ad un presunto potenziale e non sull’effettivo valore dimostrato, dando vita a colossali errori; il georgiano Tskitishvili ne è fulgido esempio: alla Benetton aveva visto scampoli di campo eppure fu scelto altissimo. Chi invece era già affermato a livello europeo, vedi Luis Scola, fu ignorato finché gli Spurs, ancora loro, se lo ritrovarono in mano alla 56. Non arriverà a San Antonio perché ritennero non fosse compatibile con Duncan: ogni tanto sbagliano anche loro. Il resto delle chiamate è condito dalle solite bufale e da buone pesche fatte con numeri alti. Non è un caso che gli scout dopo i primi 10-12 giocatori, quelli su cui si è più sicuri, inizino a parlare di palude: scegliere è sempre un azzardo, non si sa mai quanto un giocatore possa rendere a livello Nba e certo non è la carriera universitaria a poterlo dire con esattezza.

 Sede: New York Squadra College
1 Yao Ming Houston Cina
2 Jay Williams Chicago Duke
3 Mike Dunleavy Golden State Duke
4 Drew Gooden Memphis Kansas
5 Nikoloz Tskitishvili Denver Italia
6 Dajuan Wagner Cleveland Memphis
7 Maybyner Hilario Nenè Denver Brasile
8 Chris Wilcox Los Angeles Clippers Maryland
9 Amare Stoudamire Phoenix
10 Caron Butler Miami Connecticut
11 Jared Jeffries Washington Indiana
12 Melvin Ely Los Angeles Clippers Fresno State
13 Marcus Haislip Milwaukee Tennessee
14 Fred Jones Indiana Oregon
15 Bostjan Nachbar Houston Italia
16 Jiri Welsch Golden State Slovenia
17 Juan Dixon Washington Maryland
18 Curtis Borchardt Utah Stanford
19 Ryan Humphrey Orlando Notre Dame
20 Kareem Rush Los Angeles Lakers Missouri
21 Qyntel Woods Portland NE Mississippi CC
22 Casey Jacobsen Phoenix Stanford
23 Tayshaun Prince Detroit Kentucky
24 Nenad Krstic New Jersey Serbia
25 Frank Williams New York Illinois
26 John Salmons Philadelphia Miami
27 Chris Jefferies Toronto Fresno State
28 Dan Dickau Atlanta Gonzaga
29

La 29 manca da qualche anno per via di un contratto illegale firmato da Joe Smith con Minnesota, che venne punita. Oltre al cinese ed al georgiano come si può vedere tanti altri stranieri: Nenè, Nachbar, Welsch, Krstic, conditi da Archibald, Gazduric, Vujanic, David Andersen, Navarro, Kasun, Songaila, Sekularac e Scola. Addirittura vennero scelti Peter Fehse, tedesco che militava in seconda divisione (e che mai giocherà fuori dalla Germania), e l’argentino Kammerichs. Due che non hanno esattamente fatto onde. A farne le spese diversi prodotti dei college finiti molto più in basso delle attese, come successe a Kareem Rush. Ma nell’occasione si rivelò una valutazione esatta. Non fu il caso di Boozer, crollato fino alla 35 (Cleveland) che si rivelò per esempio molto più efficace di Gooden, piantagrane buono ad accumulare statistiche. Al secondo giro finirono anche Roger Mason Jr. (31, Chicago), Ronald “Flip” Murray (42, Milwaukee) e Matt Barnes (46, Cleveland). Degli stranieri sopracitati solo i sudamericani ebbero un vero impatto, Navarro venne con qualche anno di ritardo, disputò una buona stagione da rookie ma preferì tornare a Barcellona dove era il re incontrastato. Degli est europei Krstic e Songaila si ritagliarono uno spazio dignitoso, ma entrambi probabilmente erano più adatti al gioco del vecchio continente, mentre gli altri non ebbero successo negli States, ed alcuni nemmeno dove rimasero. Tante delusioni le regalarono pure gli americani: Wagner, Ely, Haislip, Borchardt, Humphrey, Williams mai nemmeno sul radar e nella migliore delle occasioni dirottati in Europa senza fare faville, Dunleavy e Gooden sotto il par, Wilcox, Jeffries e Jones molto sotto. Qyntel Woods notissimo per arresti e violazioni assortiti.

  1. Yao Ming: al netto degli infortuni il migliore. Sempre e comunque da prendere col numero uno.
  2. Amare Stoudamire: le cifre parlano per lui, non sembra uno che si nasconde quando conta però zampate ancora non ne ha date.
  3. Carlos Boozer: ala forte solida, larghissima, con un mortifero tiro costruito dalla media, secondo violino ai Jazz e ora ai Bulls. Non sarà un leader ma è scuola Duke e vuole vincere.
  4. Nenè: buono ma non buonissimo, piedi da ballerino e ottime doti di passatore ma manca sempre il nichelino per trasformarlo in autentica stella trascinatrice.
  5. Caron Butler: gran realizzatore ma mai nel gotha ebbe il suo picco ai Wizards. Ala piccola di buon livello, l’infortunio con Dallas lo ha privato di un titolo da protagonista. Ma è ancora in gioco.
  6. Luis Scola: macchina da fondamentali, specie sul perno. Si pensava sottodimensionato ed invece quanti ne porta a scuola. Certo contro i top soffre ma il carattere è argentino.
  7. Tayshaun Prince: fenicottero smilzo dalle braccia smisurate ed un gioco particolare. Lasciasse Detroit per una forte potrebbe ancora tornare utilissimo. Oro a Pechino.
  8. Mike Dunleavy: figlio di allenatore e con la presunzione di essere meglio degli altri, ha comunque intelligenza da vendere e ottimo tiro.
  9. Drew Gooden: individualmente bravo sì, ma giocare di squadra è un altro paio di maniche. Bene quando pensa ai suoi numeri, ma non te ne fa vincere tante.
  10. John Salmons: altro elemento che fa onde solo nei primi mesi, seguiti inesorabilmente da problemi e saluti. Non a caso giramondo Nba.

Un draft tutto sommato discreto ma non certo eccezionale. Troppi errori, troppe incompiute. Fortunello Prince che finì al posto giusto nel momento giusto, completando alla perfezione i Pistons che vinceranno l’anello proprio in quell’anno ponendo termine al dominio Lakers.

L’analisi termina qui. Facile farla, ma era solo per dare un’idea. Anche se ognuno può stilare i suoi dieci, rimane evidente come tranne in rari casi l’ordine di chiamata verrebbe stravolto, con l’ingresso di numerosi giocatori mal giudicati, sconosciuti o su cui si nutrivano troppi dubbi. Un mestiere tutt’altro che semplice insomma.

 
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Pubblicato da su 20 marzo 2012 in NBA

 

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