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Basket in quattro salse

Vengo da una domenica passata a combattere contro un cotechino in camicia accompagnato da risotto alla milanese e verdure in brodo. Chi sa di cosa parlo può annoverarlo tra le dure battaglie della tavola. Domenica in cui si correva il rischio parallelo di indigestione cestistica, col palinsesto televisivo che offriva ampia scelta in formato quattro stagioni potendo pescare da quattro diversi stagni. Incontro da lustrini e scritte luminose in Nba, nella città del cinema arrivava la compagnia teatrale a nome Miami Heat. Sempre Stati Uniti ma costa opposta per rinverdire la sfida collegiale per eccellenza già passata sul radar un paio di settimane fa: stavolta tocca a North Carolina portare gli omaggi in quel di Duke. Altro cambio di scenario, si attraversa l’Atlantico e gli incontri sono quello nostrano tra Siena e Milano mentre nelle province basche atterra il Barcellona nella sfida di Liga ACB. Dati orari, reti di trasmissione e circostanze, mi sono sintonizzato sull’offerta stelle e strisce con qualche mozzicone europeo. Sarà che la Rai non riesco mai a considerarla in generale come emittente sportiva. Del panorama italico che dire, Siena mantiene il controllo e anche se sarà meno dominante del passato, vuoi per propri demeriti ma soprattutto perché finalmente si sta alzando il livello delle avversarie, batterla in casa resta complicato. Col pensiero volto ai playoffs riuscire ad averne la meglio in una serie alle tre o quattro partite ritengo sia ancora impraticabile. Lo mostra Cantù che quando conta va sempre sotto, si accoda Milano che se la gioca ma non vince. Almeno l’Armani sembra aver trovato una quadratura solida dopo aver smontato e rimontato pezzi come nelle Lego. In Spagna la faccenda si consuma in fretta: quando la squadra ospite chiude il primo quarto avanti 23-6 la partita riacquisterebbe senso solo se avvenisse un rilassamento da eccesso di confidenza e consapevolezza di forza. Non è il caso in questione, il Barça mostra chiaramente i muscoli e controlla, nonostante gli sforzi televisivi di vendere il prodotto la partita è diventata un rabbioso tentativo di rimonta sempre rintuzzato. Questi di Bilbao mai stati simpatici, una banda di farabutti sempre pronti a buttarla sulla rissa, le provocazioni e le sceneggiate. La partenza folgorante è circostanza che si ripete anche al Cameron Indoor: ai Tar Heels essere stati bruciati sulla sirena nell’incontro precedente dev’essere pesato assai. Occasione di rivincita fresca fresca condita dal fatto che la posta in gioco è molto alta, c’è in ballo la vittoria della Conference e probabilmente una delle ambite teste di serie nel tabellone del torneo Ncaa. Come detto inizio col botto, e 48-24 la prima frazione  per gli ospiti, che nel secondo tempo controllano agevolmente per l’88-70 finale. Gran ripassata con gli interessi, tanto per stabilire chi sia il più forte tra le due. Rivers viene limitato bene come tutti gli esterni, Duke inizia tirando in modo disastroso nei primi dieci minuti e riassestando il baraccone quando erano scappati già tutti quanti. Una partita non fa primavera ma per una squadra considerata tra le prime 5 della Division I è una brutta botta. I Blue Devils sono una squadra giovane, sotto i tabelloni i fratelli Plumbee offrono due corpaccioni con basilari movimenti offensivi, ma a me paiono una coppia di idraulici. Niente da spartire con Zeller e Henson, altra categoria e altra eleganza. Dovessero fare molta strada nel torneo mi stupirei, o probabilmente starei solo sopravvalutando il livello attuale del college basket. North Carolina invece ha una squadra più navigata, e nell’occasione i suoi tre perni Marshall, Barnes e Zeller han tutti esibito una buona prova trascinando il resto della squadra: fa bella figura anche l’ultimo rappresentante della stirpe McAdoo. Di questa nidiata presto o tardi diversi faranno il salto tra i professionisti: impressione personale nessuno reciterà ruolo da fenomeno ma tutti potrebbero avere una discreta carriera. Coi 35 secondi per possesso i grandi vantaggi vengono gestiti in modo spesso sonnolento, rinunciando a giocare come si sa: nessuna eccezione pure qui, ma il divario non scende mai sotto la doppia cifra. Nonostante questo, il tifo del pubblico di Duke non muta di una virgola per tutti e quaranta i minuti. Rumorosi e ottimisti fino alla nausea. Chapeau.

Gran finale con una partita resa importante dalla mannaiata di Wade a Kobe in quel di Orlando. In America si chiedevano se i Lakers avessero dovuto “retaliate”, vendicarsi come nelle meccaniche infantili. Io invece non volevo perdermi l’approccio del Bryant incazzato, quello che spedisce messaggi di forza quando lo irritano. Accontentato. 18 nel primo quarto con percentuale immacolata e sensazione che si fa come dice lui. Non si gioca di squadra ma l’Nba si guarda più per vedere all’opera i singoli no? Battier lo prende in consegna dal secondo in poi per complicargli le cose, ma questa è una di quelle serate. I Lakers conducono sempre con un confortante vantaggio, ma la vera notizia è che sembra aver scoperchiato il sarcofago anche Artest. Il gran vecchio pazzo non produce un’azione da manuale che sia una ma quando decide di incidere si fa notare. Gli Heat nel 3° tornano a -2 ma è il loro massimo risultato. Bosh è assente e si assiste anche all’evento storico dell’uscita per falli di Wade, personaggio piuttosto benvoluto dai fischietti. Stavolta invece quattro falli nemmeno troppo intelligenti in un amen e ultimi minuti da osservatore in panchina. Senza lui e James questa squadra verrebbe travolta nelle Top 16 di Eurolega. James che accumula i soliti vistosissimi numeri, ma ormai si è capito che incidono poco. Le sue prestazioni straordinarie rientrano nell’ordinario, perché in fondo non fanno vincere. La partita la sigilla Kobe con un paio di canestri dei suoi. I Lakers questa partita dovevano vincerla per una questione mentale, ma anche se a Ovest la situazione è fluida dubito che questo organico possa arrivare fino in fondo. Urge scambio che renda la squadra più equilibrata, alcune posizioni più affidabili. Regia in primis a mio modo di vedere. Su Gasol nessuna sentenza, ma pare evidente che sia sottotono rispetto al giocatore di un paio d’anni fa, quando era semplicemente la miglior ala forte del mondo.

 
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Pubblicato da su 7 marzo 2012 in Basket, Basket Europeo, NBA

 

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