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8 Marzo in salsa rosa

Feste del genere non mi hanno mai suscitato sentimenti molto distanti dall’indifferenza in quanto vuote del significato che si vorrebbe dar loro e promotrici di un’immagine distorta delle dinamiche umane, almeno dal mio punto di vista. Quasi che si volesse far passare il concetto che le donne siano una categoria alla stessa stregua di vigili del fuoco, pasticcieri o agenti del fisco, cui condonare una festa per un giorno all’anno. Okay forse gli agenti del fisco una festa non ce l’hanno. Ma siccome di sport in rosa non ne parlo mai se si tratta di porgere un semplice omaggio mica ci sono problemi. Non ne parlo perché lo seguo poco, in quanto tranne rare eccezioni negli sport che mi piace guardare la versione femminile si rivela sempre una versione sbiadita di quella originale, e di altri contesti ne capisco poco. Una delle sportive che più ammiro è Shannon Szabados, l’invalicabile portiere della nazionale canadese d’hockey. A Vancouver oltre all’oro maschile reso celebre dal goal in sudden death di Crosby anche la squadra femminile vinse la finale contro gli Stati Uniti, con questa ragazzotta dagli occhi azzurri protagonista di un grandissimo torneo. Nell’edulcorata versione hockeistica femminile i contatti sono proibiti ma il portiere detiene la stessa fondamentale importanza. Con lei anche gli spilli facevano fatica a passare, ma la velocità delle azioni e del puck devono sembrarle uno scherzo, dato che la ragazza si è sempre allenata e giocato con i maschi. Una tosta se non si è capito. Parlando di portieri come non citare Katrine Lunde Haraldsen, estremo difensore della nazionale norvegese di pallamano, una che trasuda grinta da tutti i pori ed il cui fascino non viene minimamente scalfito dall’indossare la tuta tipica dei portieri di handball che mi ricorda tanto le ore di ginnastica alle elementari. Da campionessa europea è stata capace di lasciare l’innegabile comfort della nativa Scandinavia per mettersi in gioco a Gyor, Ungheria. Scelta coraggiosa ripagata dai fatti, perché dopo un periodo di adattamento si è calata nella nuova realtà e quest’anno la squadra è praticamente già alle semifinali di Champions League. Oltretutto è riuscita a trascinare anche la connazionale Lokke, una dei migliori pivot in circolazione. L’esodo verso Est ha interessato anche il campionato italiano di pallavolo, che ha visto la partenza di alcune delle nostre migliori giocatrici verso lidi russi e turchi, le nuove ruggenti mete finanziarie. Giocatrici come Lo Bianco, Anzanello, Del Core, Gioli, Costagrande, han salutato i palazzetti nostrani per monetizzare il loro talento: il campionato ne è in qualche modo impoverito, ma allo stesso tempo queste atlete han tutte superato i 30 e favoriscono un ricambio generazionale ed il lancio di nuove ragazze che almeno nel volley non mancano mai. Vedere le donzelle giocare a basket mi è sempre risultato difficile, lo ha confermato uno spicchio di partita collegiale tra Nebraska e Purdue. Stessa pessima impressione che mi avevano lasciato gli ultimi europei, quelli in cui le russe avevano piallato chiunque mostrando gli unici decenti spiragli grazie a due giocatrici, la lungagnona Maria Stepanova e la guardia Elena Danilochkina nominata poi miglior giocatrice del torneo. Si divide tra Russia (Ekaterinburg, dove sterminarono la famiglia dello Zar) e Wnba (le Sparks di LA) Candace Parker, sorella dell’ex stella del Maccabi e probabilmente miglior giocatrice di basket del momento. E forse di sempre. È pure sposata con Shelden Williams, sì proprio quel pippone con la faccia da bue rivelatosi uno dei grandi abbagli degli ultimi draft, il che toglie ogni dubbio su chi sia il componente della famiglia realmente portato per il gioco. Venendo dalla stagione invernale gare di sci ne ho seguite, anche se tra le donzelle lo strapotere di Lindsey Vonn appiattisce alla grande la competizione. La statunitense oltre ad essere il classico cannibale in pista è anche una perfetta macchina da merchandising in pieno stile americano. Bionda col sorriso sempre pronto e la posa impeccabile, usa sci maschili e sta migliorando anche nelle discipline in cui era meno portata. Se le altre non si danno una svegliata sarà buio pesto. Tra le poche avversarie papabili quest’anno è sbocciata Tina Maze, salita alla ribalta delle cronache per esser stata accusata dalla federazione svizzera di indossare una sottotuta irregolare. Una volta scagionata si è rifatta mostrando un reggiseno con la scritta “not your business”, modo carino per chiudere la vicenda il cui vero mistero rimane come gli svizzeri abbiano saputo della sua biancheria intima. La slovena tra l’altro oltre ai podi in gara si gioca quello riservato alle atlete più belle degli sport bianchi rivaleggiando con Torah Bright, snowboarder australiana di fede mormone vincitrice dell’oro nell’halfpipe alle ultime Olimpiadi. Menzione anche per le due pattinatrici asiatiche Miki Ando e Kim Yu-Na, giapponese la prima e sudcoreana la seconda, ammirate durante i mesi freddi per soddisfare altrui esigenze. Perché di mia volontà non sarebbero eventi in cima alla lista. Quando si dice abbinare fascino a classe ed eleganza. Altro che Kostner. Il vero evento dell’anno però sono le Olimpiadi londinesi e l’obiettivo è condiviso da un ventaglio di diverse discipline, dalla regina atletica ad altre più defilate. Nel sommerso la mia pesca ricade sull’hockey su prato ed il capitano della formazione argentina, Luciana Aymar, autentico diamante latino e unico sfolgorante e personale esempio di come una disciplina possa essere vista solo in funzione di chi la pratica. Perché sfido a sostenere non si tratti di uno sport noiosissimo. Un approccio che a volte non si discosta troppo da quello che riservo al tennis: riesco a seguire con una certa continuità solo Wimbledon perché a quanto pare il verde riesce a rilassarmi e favorisce l’appisolamento. Con le Olimpiadi quest’anno si dovrebbe raddoppiare. Per il resto fatico a reggere un set nella sua interezza, figurarsi una partita. Specie nel panorama femminile, piattino in termini di talento, colpi, varietà di gioco. Il vuoto di potere dopo le Williams. Siccome le scimmie urlatrici modalità Azarenka e Sharapova non le sopporto per via del sonnecchiare le mie soddisfazioni arrivano dalla raffinatezza di Daniela Hantuchova e dalla panza anti-atletica di Petra Kvitova, fresca campionessa uscente. L’atletica propone tantissime protagoniste, dall’infinita flotta di russe alla sfida nella velocità tra giamaicane e statunitensi. Veronica Campbell-Brown a detta di Bolt è un esempio ed una leggenda, perché capace di confermare l’oro in due edizioni olimpiche, privilegio riuscito a pochi. Di sicuro anche in terra britannica proverà a conquistare una medaglia. Stesso obiettivo che si porrà Lolo Jones, ostacolista stelle e strisce che mi ero troppo abituato a vedere in veste di telecronista a bordopista per Eurosport. Rivista gareggiare in un meeting indoor a Dusseldorf la speranza è che abbandonati gli infortuni possa tornare al massimo livello e pronta per Londra, dato che la ragazza era decisamente da corsa. Chiudo citando Valentina Vezzali, fulgido esempio di cosa significhi possedere lo spirito sportivo. Dopo aver ripetutamente vinto tutto quello che la sua disciplina le consentiva di vincere, accumulando titoli e medaglie fino alla nausea, la smania di competere, vincere ed esultare ancora le brucia dentro rendendola famelica. Una così potrebbe tenere lezione ad intere scolaresche di atleti che pensano di aver raggiunto il traguardo appena intascano un bel contratto.

 
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Pubblicato da su 8 marzo 2012 in Sport & Cultura

 

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