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I Draft col senno di poi: 1998

Il 1998 fu un’annata storica, perché a suo modo determinò un cambiamento nella linea delle squadre americane. Se negli ultimi anni i successi di Garnett e Bryant avevano lanciato la moda dei liceali, terribile a ben vedere, l’isolazionista America stava per aprirsi anche ai giocatori internazionali, in particolar modo agli Europei. Petrovic e Divac erano stati gli apripista al tramonto degli anni ‘80, ma è anche vero che dopo di loro pochi erano stati i discepoli capaci di seguirli. Kukoc, Radja, Marciulonis. Fuoriclasse come Danilovic, Djordjevic o Rigadeau avevano provato l’avventura ma delusi dallo scetticismo con cui venivano trattati tornavano a far la voce grossa nel vecchio continente. Le cose stavano per cambiare, non solo per ragioni tecniche: Stern, un volpone del marketing, aveva capito che la globalizzazione avrebbe potuto costituire un enorme trampolino di lancio per l’Nba a livello mondiale. Ma una lega di soli americani acquista più appeal se incominciano a vedersi anche giocatori provenienti da altri stati tra i suoi protagonisti. In principio, come sempre accade, si puntarono gli occhi sui lungagnoni: l’altezza non si insegna, su tutto il resto si può lavorare. Stessa filosofia che portò alla prima posizione Olowokandi, fino a poche settimane prima illustre sconosciuto nella sua minuscola università di Pacific. Il tempo testimoniò come il grande dilemma del centro dominante restasse sempre in voga. Il draft introdusse l’Nba in una stagione anomala, quella del lockout e delle 50 partite, la prima senza Jordan che pareva essersi definitivamente ritirato dopo che a giugno aveva battuto per la seconda volta i Jazz di Malone e Stockton con il celebre canestro immortalato in tutto il mondo e pure sulla luna.

  Sede: Vancouver Squadra College
1 Michael Olowokandi Los Angeles Clippers Pacific
2 Mike Bibby Vancouver Arizona
3 Raef LaFrentz Denver Kansas
4 Antawn Jamison Toronto North Carolina
5 Vince Carter Golden State North Carolina
6 Robert Traylor Dallas Michigan
7 Jason Williams Sacramento Florida
8 Larry Hughes Philadelphia St.Louis
9 Dirk Nowitzki Milwaukee Germania
10 Paul Pierce Boston Kansas
11 Bonzi Wells Detroit Ball State
12 Michael Doleac Orlando Utah
13 Keon Clark Orlando UNLV
14 Michael Dickerson Houston Arizona
15 Matt Harpring Orlando Georgia Tech
16 Bryce Drew Houston Valparaiso
17 Radoslav Nesterovic Minnesota Italia
18 Mirsad Turkcan Houston Turchia
19 Pat Garrity Milwaukee Notre Dame
20 Roshown McLeod Atlanta Duke
21 Ricky Davis Charlotte Iowa
22 Brian Skinner Los Angeles Clippers Baylor
23 Tyronn Lue Denver Nebraska
24 Felipe Lopez San Antonio St. John’s
25 Al   Harrington Indiana
26 Sam Jacobson Los   Angeles Lakers Minnesota
27 Vladimir   Stepania Seattle Slovenia
28 Corey   Benjamin Chicago Oregon State
29 Nazr Mohammed Utah Kentucky

 

Al secondo giro slittarono alcuni buoni giocatori come Ruben Patterson, pescato alla 31 dai Lakers, che a Portland vivrà ottime stagioni prima di essere sommerso dalla sua stessa violenza. Un numero dopo Seattle puntò su un altro degli imberbi ragazzini provenienti dal liceo, tale Rashard Lewis che per la franchigia diverrà un elemento importante. Skip to my Lou, al secolo Rafer Alston fu scelto tardi con la 39, mentre ancora più in basso, con la 41 i Rockets presero Cuttino Mobley da Rhode Island, l’unica scelta davvero azzeccata perché le tre al primo giro se le giocarono maluccio. Idem con patate per Orlando che ne aveva tre in lotteria ma ne cavò solo Harpring, un autentico duro del parquet che infatti darà il meglio di sé ai Jazz sotto Sloan. Anche qui altra sfilza di lunghi tutti sbagliati: Olo, Doleac, Clark, Skinner, Stepania; almeno loro qualche anno nell’Nba lo hanno speso. Tralasciando la prima scelta assoluta bucata, ma si parla dei Clippers, i primi dieci non sono malaccio, anche se c’è da evidenziare che LaFrentz alla 3 fu troppo alto e il trattore alla 6 fu un suicidio: se ne sottovalutarono i problemi di peso e soprattutto i Bucks lo scambiarono per Nowitzki, il vero crack che dopo una prima stagione traumatica iniziò a diventare quello che tutti conosciamo. Ecco i miei dieci:

  1. Dirk Nowitzki: la sua esplosione e quella di Gasol più tardi ridiedero slancio ai giocatori Fiba.
  2. Paul Pierce: il vero delitto del draft e l’autentico furto di Boston che se lo trovò incredula tra le mani.
  3. Vince Carter: lo spettacolo del giocatore ha abbagliato nascondendone la poca concretezza, anche se è comunque riuscito a giocarsi due finali e negli anni d’oro era una stella indiscussa.
  4. Rashard Lewis: diventato meno forte del previsto, l’immagine scialba di Orlando non deve offuscare le annate coi Sonics di cui è stato punta di diamante.
  5. Jason Williams: il cioccolatino bianco è riuscito a vincere un titolo con Miami a fine carriera ma contando, anche se per lui parlano gli anni spesi ai Kings che furono una delle più belle squadre offensive del decennio.
  6. Mike Bibby: non una stella ma anche lui giocatore concreto e molto tosto fisicamente che ha tenuto botta per diversi anni in squadre di medio alto cabotaggio.
  7.  Antawn Jamison: buon giocatore ma sempre relegato in squadre perdenti e forse con una ragione di fondo. Uomo da quintetto ma non di quelli che spostano.
  8. Al Harrington: egoista come pochi ma uomo capace di exploit realizzativi che risolvono una partita proprio perché gioca al di fuori del contesto. Piantagrane ma se si sa gestire torna utile nelle serate in cui la squadra gira poco.
  9. Raef LaFrentz: vado con lui perché come al solito il bianco americano ha attese eccessive e ne resta imprigionato, però finché gli infortuni non lo hanno limitato ha disputato solide stagioni, pur non essendo una stella.
  10. Qui è dura: vedo Hughes, Wells, Harpring, Mobley, tutti con alcune buone stagioni , tutti con ruoli importanti nelle loro squadre. Di sicuro Hughes è il giocatore da cui si aspettava di più e che più ha deluso in proporzione.

Degli altri Nesterovic, Garrity e Mohammed sono riusciti a costruirsi una solida permanenza, Felipe Lopez e Lue sono diventati delle meteore (anche se Lue ha fatto in tempo a vincere il titolo coi Lakers marcando nel possibile Iverson), Drew è rimasto stella del college e Ricky davis è diventato un Harrington 2.0, individualismo al potere. Al secondo giro furono chiamati anche Bruno Sundov (35, Dallas), il mai pervenuto liceale Korleone Young (40,Detroit), Sean Marks, una carriera da 12° uomo (44, Knicks), e l’inglese Andrew Betts alla 50 da Charlotte. Nonostante le stelle furono solo tre come l’anno precedente, si può affermare che la qualità media fu un pelo maggiore.

 
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Pubblicato da su 14 marzo 2012 in NBA

 

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