RSS

Archivi tag: tutti i numeri 1 del draft Nba

I Draft col senno di poi: 1999

Il cambiamento ventilato in realtà non si verificò immediatamente. L’Europa ancora era conosciuta col binocolo, Nowitzki incontrava le sue belle difficoltà di ambientamento ed adattamento e la sua scelta era solo legata alla lungimiranza dei Nelson, padre e figlio. Un altro piccolo, grande cambiamento interessò l’annata del ’99: per la prima volta sotto la gestione di Krzyzewski un giocatore di Duke si dichiarava eleggibile senza aver terminato il quadriennio di studi. Anzi, in realtà furono tre, ma solo Brand ebbe il beneplacito di coach K che evidentemente lo riteneva già pronto. Maggette e Avery vollero fare di testa loro e pagarono: il primo con una scelta più bassa del previsto e una carriera mai davvero sbocciata, il secondo scomparendo dai radar con supersonica rapidità e riducendosi ad una carriera da globetrotter. Si veniva dalla stagione mutilata del lockout, dall’era post Jordan che aveva incoronato il nuovo re della lega, quel Duncan arrivato solo da due anni ma da giocatore già fatto e finito. Fu un draft particolare, perché nonostante non ci fossero prospetti destinati a diventare stelle di prima grandezza, giocatori franchigia capaci di determinare la svolta per la squadra, il 30 giugno a Washington vennero chiamati tantissimi ragazzi che nell’Nba si ritagliarono un posto comodo ed una duratura permanenza, diventando importanti elementi per le loro squadre. Quello che alcuni di loro sono ancora oggi. Si verificò poi un episodio poco considerato al momento, ma che in seguito orienterà i destini della lega: alla numero 57 i freschi campioni San Antonio Spurs nell’indifferenza generale selezionarono un’acciughina argentina che giocava in Italia a Reggio Calabria ma era in procinto di passare alla Virtus dove avrebbe scritto pagine di storia: tale Ginobili Emanuel. Il primo di tanti autentici furti di bravura mista a fortuna perpetrati dai texani nei draft.

Sede: Washington Squadra College
1 Elton Brand Chicago Duke
2 Steve Francis Vancouver Maryland
3 Baron Davis Charlotte UCLA
4 Lamar Odom Los Angeles Clippers Rhode Island
5 Jonathan Bender Toronto
6 Wally Szczerbiak Minnesota Miami (Ohio)
7 Richard Hamilton Washington Connecticut
8 Andre Miller Cleveland Utah
9 Shawn Marion Phoenix UNLV
10 Jason Terry Atlanta Arizona
11 Trajan Langdon Cleveland Duke
12 Aleksandar Radojevic Toronto Barton   Comm. College
13 Corey   Maggette Seattle Duke
14 William   Avery Minnesota Duke
15 Frederic   Weis New York   Knicks Francia
16 Ron   Artest (poi Metta World Peace) Chicago St.   John’s
17 Cal   Bowdler Atlanta Old   Dominion
18 James   Posey Denver Cincinnati
19 Quincy   Lewis Utah Minnesota
20 Dion   Glover Atlanta Georgia   Tech
21 Jeff   Foster Golden   State Southwest Texas State
22 Kenny Thomas Houston New Mexico
23 Devean George Los Angeles Lakers Augsburg
24 Andrei Kirilenko Utah Russia
25 Tim James Miami Miami
26 Vonteego Cummings Indiana Pittsburgh
27 Jumaine Jones Atlanta Georgia
28 Scott Padgett Utah Kentucky
29 Leon Smith San Antonio

Come si può notare tanti sono ancora sulla piazza a fare onde, altri ne hanno prodotte. Dei primi dieci l’unico davvero sottotono si è rivelato Bender, liceale limitato da molti infortuni ma che aveva mostrato qualità. Sull’altro scelto al primo giro, il Leone, meglio calare il sipario. Gli Spurs avevano sentito puzza e infatti lo girarono subito a Dallas per Giricek. A parte Ginobili il secondo turno non regala grandi nomi: il canadese Todd MacCulloch fu scelto da Phila alla 47 e si rivelò un buon giocatore, ma fu costretto a ritirarsi prematuramente per problemi ai piedi. Tralasciando qualche comprimario (Elson, Rodney Buford, il cinese Zhi Zhi ovviamente preso da Dallas) diversi nomi li ritroviamo in Europa: Giricek alla 40, Lou Bullock alla 42 (Minnesota), Lee nailon subito dopo (Charlotte). Tra gli Europei al primo giro invece oculata scelta dei Jazz con Kirilenko e solite chiamate gettate al vento per due lungagnoni: Radojevic, 3 partite ai Raptors e poi disperso fino a ritrovarsi a Cipro, e quel pippone di Weis che dopo le Olimpiadi di Sidney neanche se lo sognò di traversare l’oceano. Ovviamente i Knicks si bruciarono la possibilità di scegliere il figliol prodigo Artest. Occasione che non si lasciarono sfuggire altre squadre, quella della chiamata territoriale che cela una certa ignoranza nello scouting: vedasi Miami che seleziona l’idolo locale Tim James o Atlanta che con ben 4 scelte a disposizione pigliano due ragazzi da college della Georgia. Tendenza comune in diversi circoli Nba. Langdon fu il quarto di Duke ma i suoi piedi lenti lo dirottarono verso il nostro continente ed il Cska, che in quegli anni costruì uno squadrone sotto Messina. Francis, che forzò subito la trade a Houston dato che non voleva giocare in Canada, fu il giocatore che esplose con maggior fragore, divenne una stella ai Rockets dove conseguì grandi risultati individuali ma non di squadra. Scambiato ai Magic per McGrady iniziò un veloce declino aiutato dai soliti infortuni.

  1. Manu Ginobili: intelligenza al potere supportata da tecnica, guasconeria e pure grandi doti d’atleta (all’inizio). Quando devo vincere per forza io vorrei Bryant o lui.
  2. Lamar Odom: un tuttofare in campo, la vera arma in più dei Lakers negli ultimi anni. Non un leader ma se c’è chi lo fa per lui sposta gli equilibri.
  3. Rip Hamilton: altro che ha vinto un titolo da protagonista in una squadra dal quintetto oliato alla perfezione. Maratoneta e maestro del gioco senza palla sui blocchi.
  4. Jason Terry: tanti punti veloci dalla panchina, palle quadrate e lingua lunga, maturato alla distanza, titolo pure per lui da secondo violino l’anno passato.
  5. Elton Brand: buono ma non quanto ci si aspettava, solido ma senza il salto di qualità che lo portasse a giocare in squadre di vertice.
  6. Baron Davis: il barone ha entusiasmato ma non ha mai fatto strada, l’unica chicca resta l’eliminazione dai Mavs al primo turno con l’armata gialla dai Warriors.
  7. Steve Francis: già detto, forse il migliore dopo l’argentino ma non l’ha mai dimostrato realmente se si eccettuano gli highlights.
  8. Andre Miller: al contrario dei due sopra mister concretezza, mai infortunato, durezza spaventosa, gran passatore e ancora oggi dispensa pallacanestro saltando un foglio di carta.
  9. Shawn Marion: una palla d’energia, ala atipica quand’era ai Suns dove ha giovato come tutti della presenza del signor Nash. Meno brillante ai Mavs dove però ha vinto e fatto valere le sue doti difensive.
  10. Andrei Kirilenko: mai stato una stella ma il classico giocatore da lavoro sporco, oscuro, tutti i dettagli che differenziano una vittoria da una sconfitta.

Non ci sono solo questi. Szczerbiak ebbe una solida carriera da tiratore a Minnesota, e che dire di Artest, idiota che però è un bufalo difensivo ed è capace di vincere partite fondamentali da solo? Anche James Posey ha sempre inciso molto ad alto livello, con Miami e Boston, come anche Foster, prezioso cambio ad Indiana. Le loro buone stagioni le hanno vissute anche Devean George nei Lakers del three-peat (Jerry West lo pescò in un college di Division III), Kenny Thomas o Maggette. Insomma Ginobili scombussola tutto l’ordine prestabilito ma in generale il livello del draft fu davvero buono e ricco di giocatori veri.

 
Lascia un commento

Pubblicato da su 15 marzo 2012 in NBA

 

Tag: , , , , , ,